La maggior parte dei pazienti appena guariti dal Covid-19 producono anticorpi e difese specifiche contro il coronavirus: la risposta immunitaria non è uguale per tutti, ma in ogni caso gli anticorpi sembrano durare almeno due settimane. A indicarlo è un piccolo studio cinese guidato dalla Tsinghua University di Pechino e pubblicato sulla rivista Immunity.
I ricercatori hanno confrontato i test sierologici di sei persone sane di controllo con quelli di 14 pazienti guariti, di cui otto appena dimessi e altri sei tornati a casa già da due settimane. Nei soggetti colpiti dal virus sono stati misurati alti livelli di anticorpi: le immunoglobuline M, prodotte per prime in caso di infezione, e le immunoglobuline G, che invece si sviluppano a distanza di alcuni giorni. Gli anticorpi erano in grado di riconoscere il capside proteico che protegge il virus oppure la parte della proteina S con cui aggancia le cellule umane. Cinque dei pazienti appena guariti presentavano alti livelli di cellule immunitarie (le cellule T) che producono una molecola segnale (l'interferone gamma) per combattere il virus. In questi stessi pazienti sono stati trovati alti livelli di anticorpi neutralizzanti, capaci di distruggere il virus. Inoltre, tre pazienti avevano cellule T capaci di impedire in modo specifico la replicazione del virus. Sette degli otto pazienti appena dimessi presentavano invece valori rilevabili di cellule T che impediscono al virus di attaccare le cellule umane. In conclusione, i ricercatori sottolineano come gli anticorpi neutralizzanti fossero associati con le immunoglobuline G dirette contro la parte della proteina S che attacca le cellule: questa 'testa d’arietè del virus, capace di indurre la produzione di anticorpi e cellule T specifiche, potrebbe dunque diventare un valido bersaglio per i vaccini.
Con prime infusioni plasma partita ricerca Pisa - Primi passi all’ospedale di Pisa per la sperimentazione della plasmaterapia sui malati Covid-19, con due infusioni del sangue ricavato da pazienti guariti che hanno sviluppato gli anticorpi alla malattia. Per ora sono due i pazienti sottoposti a questo trattamento sperimentale, ma uno solo rientra nel protocollo della ricerca, mentre l’altro ne ha beneficiato per uso compassionevole. «Il fatto importante - spiega l’infettivologo dell’Aoup, Francesco Menichetti, che coordina la sperimentazione - è che siamo partiti e ora dovremo monitorare l’efficacia di questa terapia, ma i primi riscontri sono buoni. Posso dire solo che si tratta di due pazienti ricoverati all’ospedale di Cisanello: uno in terapia intensiva e uno in un reparto Covid». Menichetti sottolinea anche la difficoltà a reperire donatori adeguati: «L'iter è infatti piuttosto complesso perchè non è come selezionare normali donatori di sangue, di età compresa, se lo fanno abitualmente, tra i 18 e i 65 anni o fino a 60 anni, se sono donatori occasionali. Occorre anche valutare se i determinati soggetti possono donare oppure no in base al loro complessivo stato di salute. E questa è una malattia che colpisce per lo più gli anziani, con patologie pregresse che potrebbero inficiare la donazione anche se guariti. Insomma, solo il 15-20 per cento dei potenziali donatori risultano idonei per la terapia».
Anche la Puglia avvia sperimentazione terapia al plasma - La Regione Puglia inizia la sperimentazione per la immunoterapia passiva con plasma raccolto da pazienti guariti da infezione Covid-19. L’Azienda Ospedaliera - Università di Padova ha confermato la collaborazione con la Regione Puglia per la determinazione del titolo di Anticorpi neutralizzanti anti-SARS-CoV-2 sui campioni di sangue di pazienti guariti. E l’Istituto Zooprofilattico di Puglia e Basilicata sta completando gli adeguamenti organizzativi necessari all’esecuzione del test, quindi entro poche settimane, annuncia la Regione in un comunicato, anche la Puglia potrà contare di un laboratorio per la sperimentazione sul proprio territorio.
«Saranno coinvolti nella sperimentazione tutti i reparti Covid pugliesi individuati dal piano ospedaliero dell’emergenza - dichiara il presidente della Regione, Michele Emiliano - La battaglia contro il Covid passa così dalla difesa e dalla prevenzione, all’attacco, attraverso la ricerca. Sono pochissimi in Italia i laboratori per la determinazione del titolo di Anticorpi neutralizzanti: da un lato quindi ci stiamo attrezzando per avere a Foggia con l’Istituto zooprofilattico tutto il necessario e dall’altro facciamo rete con altre eccellenze italiane, si parte subito con la collaborazione con il Laboratorio di microbiologia dell’Azienda Ospedaliera e universitaria di Padova che ringrazio». «E ringrazio sin d’ora tutti i pugliesi guariti - conclude - che stanno dando il loro assenso alla donazione di plasma. Un piccolo gesto di enorme importanza per tutti».
Da Pavia e Mantova: cura plasma promettente - Funziona bene e costa poco: sta garantendo buoni risultati la plasmaterapia, che utilizza gli anticorpi nel plasma dei pazienti guariti dal nuovo coronavirus per curare le persone malate, sperimentata al San Matteo di Pavia, al servizio di immunoematologia e trasfusione diretto da Cesare Perotti. Negli Stati Uniti hanno preso spunto dal Policlinico pavese, adottando la terapia già in oltre 4mila ospedali e su più di 5mila malati. Nel frattempo nell’università olandese di Utrecht è stato ottenuto un anticorpo monoclonale, progettato espressamente per combattere il virus SarsCoV2.
Pierluigi Viale, componente dell’Unità di crisi regionale Covid-19 e direttore dell’unità operativa di Malattie infettive del Policlinico Sant'Orsola di Bologna, è però prudente: il plasma, spiega, è «una risorsa terapeutica importante ma i dati ancora scarsi non consentono di trarre conclusioni definitive" per cui per ora la Regione Emilia-Romagna sceglie di non utilizzare al momento questa terapia sui pazienti Covid-19. Anche la virologa Ilaria Capua invita alla prudenza: «La sperimentazione su plasma è un metodo antichissimo ma poi tale pratica è stata pratica medica è stata abbandonata perchè è sempre un pò una trasfusione di materiale biologico e quindi sempre un pò a rischio. Benissimo la sperimentazione, ma con valutazione dei rischi».
Al Policlinico di Pavia e all’ospedale di Mantova, intanto, il «plasma iperimmune» è stato infuso in 52 pazienti di Covid-19 con esiti confortanti (a Mantova è guarita anche una donna incinta di 28 anni). Presto Perotti sarà in grado di tracciare un primo bilancio significativo di questa prima fase di sperimentazione. «E' una terapia che ha costi ridotti - osserva il primario del San Matteo - e sta fornendo esiti molto promettenti. Il plasma è già stato utilizzato anche in passato, per la cura della Sars e dell’Ebola». I donatori di plasma possono essere «i pazienti convalescenti guariti, e quando si parla di guarigione ci si riferisce solo a soggetti che hanno avuto due tamponi negativi effettuati in due giorni consecutivi. Nel plasma di queste persone si sono sviluppati anticorpi neutralizzanti in grado di combattere il virus». Sono già più di 250 i pazienti guariti che si sono recati al San Matteo per donare il plasma. A Pavia si sta pensando anche di creare una «Banca del plasma» per conservare alcune sacche donate in vista di un’eventuale nuova ondata di contagi in autunno. La procedura non dura più di 30-40 minuti: viene prelevato solo il plasma, attraverso un separatore cellulare, poi testato per verificare la sua capacità, attraverso gli anticorpi, di uccidere il coronavirus. Il San Matteo, attraverso il suo protocollo, afferma Perotti, «può svolgere il ruolo di 'hub' per tutti gli ospedali che vogliono aderire. Qui non sono in ballo interessi economici, ma solo la salute delle persone e la possibilità di salvare i malati più gravi». Al protocollo di plasmaterapia predisposto dal San Matteo hanno aderito per ora gli ospedali di Mantova, Lodi, Novara e l’Azienda ospedaliera universitaria di Padova. L’auspicio, visti i risultati, è che la plasmaterapia possa essere adottata su scala nazionale.
E’ la strada già seguita negli Stati Uniti, dove i primi risultati sono stati pubblicati sulle riviste Pnas e Jama: i 15 pazienti curati con il plasma, tutti portatori di una grave forma di coronavirus, sono guariti. La Food and Drug Administration (l'ente che si occupa negli Usa della regolamentazione dei farmaci) ha subito approvato la sperimentazione. Negli Stati Uniti la plasmaterapia viene utilizzata su pazienti già dopo 4-5 giorni dall’insorgenza dei sintomi; il protocollo approvato dal San Matteo di Pavia prevede invece l’infusione del plasma iperimmune dopo 10 giorni. Nel frattempo l’anticorpo monoclonale messo a punto in Olanda e descritto sulla rivista Nature Communications ha dimostrato di saper neutralizzare sia il coronavirus del Covid-19, che quello della Sars e, secondo i ricercatori, ha buone possibilità di diventare un futuro farmaco anti Covid-19.
De Donno, nostri pazienti guariti con plasmaterapia - Tra pochi giorni pubblicheremo la nostra produzione scientifica sulla plasmaterapia. Nei 48 pazienti arruolati non abbiamo avuto alcun decesso, anzi sono tutti guariti. Chiedo ai nostri legislatori che una volta pubblicato il lavoro ci diano la possibilità di usare il plasma iperimmune come si usano altri farmaci perchè è un’arma che agisce contro il coronavirus». Lo ha detto a Tv2000 il primario di pneumologia presso l’ospedale Carlo Poma di Mantova Giuseppe De Donno.
«Se dovessi scegliere tra salvare una vita ed andare in carcere non ho dubbi. Anche se non dovessi avere l'autorizzazione del comitato etico per me la vita è sacra», ha aggiunto il primario sottolineando: «La plasmaterapia è un atto democratico, viene dai pazienti e torna ai pazienti. I guariti donano il loro plasma ricco di anticorpi che serve per curare altre persone. Ogni donatore riesce a far guarire due pazienti riceventi». «L'intuizione della plasmaterapia - ha spiegato De Donno - nasce quando io e l’infettivolgo Casari ci siamo trovati una notte a gestire il pronto soccorso con i colleghi che erano disperati perchè erano arrivati 110 pazienti. Quella notte abbiamo capito che dovevamo inventarci un’arma che ci aiutasse a salvare i pazienti».
In Trentino terapia al plasma iperimmune. In arrivo una macchina apposita - L’azienda sanitaria del Trentino sta esaminando i protocolli di Pavia e Mantova e le tecnologie utilizzate per la terapia al plasma iperimmune. Una macchina apposita, necessaria per la lavorazione del plasma, è in arrivo e non appena sarà a disposizione delle strutture sanitarie trentine comincerà a essere utilizzata. Lo ha reso noto il direttore dell’Azienda sanitaria Paolo Bordon, precisando che questa tecnologia potrà essere valida anche per altre applicazioni, oltre a quelle già previste dai protocolli riguardanti questa metodologia di cura.
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