I rohingya rifugiati nel Bangladesh hanno accusato l’ex icona birmana pro-democrazia Aung San Suu Kyi di aver mentito alla Corte Internazionale di Giustizia, dove ieri ha definito 'erratà l’accusa di genocidio da parte delle forze armate del suo Paese ai danni della minoranza musulmana.
Suu Kyi, che ora è leader del Myanmar, ha detto alla corte che l’esodo di centinaia di migliaia di musulmani rohingya nel vicino Bangladesh è stato il risultato sfortunato di una battaglia con gli insorti. Ha negato che l’esercito avesse ucciso civili, violentato donne e dato alle fiamme case nel 2017. L’accusa descrive invece le azioni dell’esercito come una deliberata campagna di pulizia etnica e genocidio che ha costretto alla fuga oltre 700.000 rohingya.
«Il mondo giudicherà la loro negazione del genocidio sulla base delle prove», ha detto un leader dei Rohingya, Mohammed Mohibullah, che è presidente della Arakan Rohingya Society for Peace and Human Rights. «Un ladro non ammette mai di essere un ladro, ma giustizia può essere fatta attraverso le provem e noi le abbiamo fornite al mondo» ha detto nel campo profughi di Kutupalong nel distretto di Cox & Bazar, in Bangladesh. «Anche se Suu Kyi mente - ha aggiunto -, non sarà risparmiata. Sicuramente dovrà affrontare la giustizia. Il mondo dovrebbe prendere provvedimenti contro di lei».
Anche Nur Kamal, un altro rifugiato a Kutupalong, ha respinto la testimonianza di Suu Kyi. «I militari hanno isolato le persone e le hanno uccise aprendo il fuoco, dando loro fuoco. Non è questo genocidio? Tutto questo sarà giustificato se Syu Ki lo nega?». «Il mondo non lo accetterà. Il mondo intero ha visto il livello di tortura da noi subita, e che continua ancora».
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