di Paolo Ferrandi
L'ex premier socialista spagnolo José Luis Rodríguez Zapatero ieri era a Parma per assistere al concerto organizzato in Duomo dalla Fondazione Onuart e dall'ambasciata di Spagna. Prima di assistere al concerto eseguito da La Capilla Real de Madrid, diretta dal maestro Oscar Gershenshon, con musiche di Claudio Monteverdi il presidente Zapatero ha risposto ad alcune domande della «Gazzetta di Parma».
Lei ha vinto le elezioni nel 2004 con più di 11 milioni di voti e 164 seggi. La settimana scorsa Pedro Sánchez è stato considerato il vincitore delle elezioni con più di sei milioni di voti e 123 seggi. Cosa è cambiato in Spagna?
Il cambio del sistema politico è stato figlio della crisi finanziaria e dell'arrivo di alcuni nuovi partiti che hanno ridotto lo spazio dei partiti tradizionali. Questo cambiamento, però, si sta riequilibrando: a sinistra il partito socialista ha quasi sette milioni di voti e Podemos (il suo competitore a sinistra ndr) ora ne ha quattro. Penso che ci sarà bisogno di un ciclo politico - che può durare 4 o 8 anni -, ma il sisma si assorbirà. Il problema ora è nel campo del centrodestra dove ci sono tre partiti (Vox, il Partido Popular e Ciudadanos, ndr), ma anche qui alla fine la situazione si assesterà con un partito egemonico che potrà essere il tradizionale Partido Popular (Pp) o qualcosa di nuovo.
Che prospettive pensa che abbia il Pp dopo la severa sconfitta che ha subito Pablo Casado? Continuerà a strizzare l'occhio a Vox (estrema destra)?
Tutto quello che tocca l'estrema destra lo contamina. Penso che il Pp dovrà convergere verso il centro. Tutte le volte che questo partito ha vinto è perché si è spostato al centro. Casado ha ottenuto un cattivo risultato, ma è giovane. Alla Spagna serve un centrodestra ordinato e non contaminato dall'estremismo.
Quali sono le prospettive di Podemos (sinistra movimentista) e di Ciudadanos (centro liberale) che non hanno sfondato rispetto ai due grandi partiti tradizionali?
I grandi partiti in Spagna hanno un'enorme forza sociale, hanno radici territoriali, storia, memoria. Il Psoe, per esempio, ha 140 anni di storia, è il secondo partito socialista più antico e con alti e bassi è un partito che vince in Spagna. Ciudadanos e Podemos sono una novità favorita dalla crisi. Ciudadanos sembra una multinazionale che apre dei punti in franchising. Un partito politico forte si riconosce quando perde e rimane unito. Un momento di congiuntura, un'onda favorevole è facile trovarla, ma la forza si vede quando si perde e si va all'opposizione. Il patriota si riconosce quando non è al governo.
Pensa che Sánchez riuscirà a formare un governo monocolore o dovrà ricorrere a una coalizione?
Servono settimane per formare una maggioranza e il governo. E' una questione delicata che compete al presidente designato che ha tutte le informazioni per decidere. Ma sottolineo due cose. La prima è che la Spagna ha bisogno di un governo di legislatura che duri quattro anni, non come gli ultimi che sono caduti in poco tempo. La seconda è che il Partito socialista ha il mandato per governare perché ha vinto le elezioni. Quindi Sánchez è legittimato e tutti devono ascoltarlo. Ma allo stesso tempo Sánchez deve avere la capacità di ascoltare sinceramente quello che gli altri partiti suggeriscono.
Come pensa si svilupperà la situazione in Catalogna?
E' una crisi territoriale grave e seria con una dichiarazione d'indipendenza solo virtuale perché il risultato non è stato riconosciuto da nessuno. Ci sono limiti costituzionali, ma appunto manca anche il riconoscimento dell'indipendenza. E' stato un errore storico. Ora la democrazia deve dimostrare la sua superiorità politica e morale iniziando il dialogo una volta di più in modo tale che alla fine si raggiunga un accordo tra i partiti nazionali e quelli più specificatamente regionali e nazionalisti. Naturalmente un accordo che porti a una maggiore autonomia, ma non alla secessione e nemmeno a un nuovo referendum. Il referendum divide, dà una risposta semplicistica a domande complesse. Divide e non unifica. Chi perde chiede una rivincita e così non c'è fine. Sarà un accordo che richiede tempo. Ma serve il dialogo per riuscire a costruire una comunità politica. Gli indipendentisti, però, devono rinunciare alla loro richiesta che è fuori dal tempo. Non è un progetto con un fondamento. Il loro modello è quello della democrazia spagnola, non un altro. Il riconoscimento dell'identità catalana è comunque importante e la Spagna può fare di più. L'importante è il dialogo e non il conflitto. E questo è possibile ora che le cose sono cambiate con le elezioni. Se il conflitto si incancrenisce è peggio.
Qual è la situazione nel Venezuela dal punto di vista spagnolo, tendendo conto del fatto che López è «ospite» dell'ambasciata spagnola a Caracas?
La situazione è seria e preoccupante. La mia opinione - che deriva dalla mia conoscenza del Paese sul quale sto lavorando - è molto chiara. Ed è controcorrente. Serve un negoziato politico e il dialogo per raggiungere la pace perché senza la pace non si va lontano. Poi bisogna trovare un accordo per rifondare la convivenza civile. Penso che la strategia dell'amministrazione Trump non porti da nessuna parte. E il tempo lo dimostrerà. Senza il dialogo i conflitti finiscono in tragedia e all'ombra di queste tragedie non ci sono diritti umani e democrazia. Spero l'Amministrazione Usa lo capisca al più presto perché si rischia la guerra civile. Anche qui non c'è la possibilità di uno sviluppo positivo senza un accordo politico.
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