FEMMINICIDIO
Giulia Cecchettin, la ragazza uccisa
«Non provo rabbia, non provo nulla. Io penso alla mia Giulia che per me ormai non c'è più». Sono le uniche parole che stamani ha detto ai giornalisti Gino Cecchettin, padre di Giulia, uscendo dalla sua abitazione a Vigonovo (Venezia).
«Turetta viene spesso definito come mostro, invece mostro non è. Un mostro è un’eccezione, una persona esterna alla società, una persona della quale la società non deve prendersi la responsabilità. E invece la responsabilità c'è. I 'mostrì non sono malati, sono figli s ani del patriarcato, della cultura dello stupro». Lo scrive, in una lettera al Corriere della Sera, Elena Cecchettin, la sorella di Giulia uccisa a coltellate. «La cultura dello stupro è ciò che legittima ogni comportamento che va a ledere la figura della donna, a partire dalle cose a cui talvolta non viene nemmeno data importanza ma che di importanza ne hanno eccome, come il controllo, la possessività, il catcalling - aggiunge - Ogni uomo viene privilegiato da questa cultura. Viene spesso detto 'non tutti gli uominì. Tutti gli uomini no, ma so no sempre uomini». Per la sorella di Giulia «il femminicidio è un omicidio di Stato, perché lo Stato non ci tutela, perché non ci protegge. Il femminicidio non è un delitto passionale, è un delitto di potere»
«Mia sorella era più buona, più dolce, più sensibile di quello che tutti immaginano. Un’anima pura, un’eterna bambina ma non nel senso di stupida e ingenua; nel senso che era una persona che viveva la vita con leggerezza e senza cattiveria». Lo ha detto ai giornalisti stamani Elena Cecchettin, tornando a ricordare Giulia. «Questa mattina - ha aggiunto - mi sono immaginata mia sorella che mi diceva 'forza, vaì. Mi diceva sempre che ero un 'oplita'. Quando era al liceo classico mi raccontava che gli opliti erano i guerrieri e lei diceva sempre che bisogna avere la forza di un oplita».
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