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BOLOGNA

I giudici: "Saman non fu uccisa per il no al matrimonio combinato. Non si esclude che sia stata uccisa dalla madre"

Le motivazioni della sentenza sull'omicidio della 18enne pakistana a Novellara

I giudici: "Saman non fu uccisa per il no al matrimonio combinato. Non si esclude che sia stata uccisa dalla madre"

30 Aprile 2024, 14:48

«Se vi è un dato che l’istruttoria e la dialettica processuale - le uniche deputate a farlo - hanno consentito di chiarire è che Saman Abbas non è stata uccisa per essersi opposta ad un matrimonio combinato/forzato». Per la Corte di assise di Reggio Emilia, nella motivazione della sentenza sull'omicidio della 18enne, tra il 30 aprile e il primo maggio 2021 a Novellara, questo «è un elemento che nulla toglie e nulla aggiunge alla gravità del fatto, ma che corrisponde ad una verità che la Corte è tenuta a rilevare». La Corte ha condannato all’ergastolo il padre e la madre, a 16 anni lo zio. Per i giudici non si può escludere che la madre sia stata l’esecutrice materiale. E la decisione di uccidere la ragazza è maturata la sera del 30 aprile 2021: «Tutto accade e si decide in occasione della perdurante relazione di Saman con Saqib e dell’intenzione della ragazza di andar via di casa».

I giudici: "Non si esclude che Saman sia stata uccisa dalla madre" 
«Gli imputati Abbas Shabbar e Shaheen Nazia» hanno «letteralmente accompagnato la figlia a morire» e non «si esclude che sia stata» la madre «l'esecutrice materiale». E’ quanto si legge nelle oltre 600 pagine delle motivazioni della sentenza della Corte di assise di Reggio Emilia. 
La decisione di uccidere Saman Abbas sarebbe stata concordata dai genitori nel corso delle telefonate con lo zio Danish Hasnain e questo lo dimostrerebbero le condotte dei due in occasione dell’uscita di casa con la figlia, documentate dalle telecamere la notte del 30 aprile 2021. «Anzitutto il fatto che - lo si può affermare con sconfortante certezza - gli imputati Abbas Shabbar e Shaheen Nazia abbiano letteralmente accompagnato la figlia a morire». «Può dirsi indiziariamente accertata la comune volontà degli imputati di commettere l’omicidio della loro stessa figlia, la presenza di entrambi sul luogo del delitto, e il comprovato apporto fornito alla realizzazione dell’evento». Per i giudici (presidente Cristina Beretti, estensore Michela Caputo) «eloquenti ed espressivi» sono le movenze e il contegno dei due, ripresi dalle telecamere del casolare di Novellara, la notte del 30 aprile 2021. La madre, in modo fermo e determinato, bloccando con un gesto risoluto il marito, si inoltra sulla carraia con Saman - «per quel minuto che non consente di escludere sia stata lei l'esecutrice materiale». Il marito, che «si mostra tormentato, assumendo atteggiamenti che danno conto della drammaticità di ciò che sta accadendo, ma che lui resta ad osservare, senza far nulla». Confermando così «la sua adesione psicologica piena al fatto». 

"Saman circondata da affetti falsi e manipolatori"
«Giunti a questo punto, indugiare nuovamente sulle condotte» del fratello e «del contesto familiare in cui si è consumata la tragica morte di Saman Abbas non fa altro che accentuare i contorni drammatici della vicenda e della esistenza, peritura, di questa ragazza: una vita non solo spezzata ingiustamente e troppo presto, ma vissuta attorniata da affetti falsi e manipolatori, in una solitudine che lascia attoniti». Sono dense di amarezza le considerazioni conclusive della Corte di assise di Reggio Emilia, che termina così la parte di motivazione dedicata ai risarcimenti chiesti, e non accordati dai giudici, al fratello e al fidanzato della 18enne pachistana, entrambi costituiti parte civile.
Il primo è considerato dalla Corte un testimone totalmente inattendibile, anzi vengono segnalati, come già avvenuto nel processo «plurimi elementi indizianti» a suo carico (anche se questa posizione non è stata condivisa dalla Procura per i minorenni competente). Del fidanzato, i giudici dicono che «diversi sono i comportamenti da lui serbati all’epoca (e non solo) che conducono ad escludere, fondatamente, che il suo legame sentimentale nei confronti della vittima fosse di qualità e intensità tale» da essere considerato un congiunto. 

"Fratello inattendibile: 120 non ricordo"
Incongruenze, bugie, accuse false: sono alcuni dei modi con cui la Corte di assise di Reggio Emilia definisce le parole del fratello di Saman, smontando la figura di quello che è invece stato un testimone chiave dell’accusa. I giudici parlano di «intrinseca inattendibilità e inaffidabilità del narrato» del ragazzo, minorenne all’epoca dell’omicidio e ribadiscono in più occasioni come «nessun riscontro, neppure parziale» sia stato trovato alle dichiarazioni di quello che invece è stato un testimone dell’accusa, in particolare nei confronti di zio e cugini, questi ultimi due assolti dalla Corte. «Tacendo - sottolineano in un passaggio della motivazione - della impressionante serie di non ricordo, oltre 120, con cui si è risposto a larghissima parte dei chiarimenti richiesti dai difensori degli imputati da lui accusati
La sentenza arriva alla conclusione di ritenere «fondato il sospetto che le sue dichiarazioni siano state condizionate dalla paura di essere coinvolto lui nella vicenda e dalla costante preoccupazione di tutelare i genitori, nella convinzione, invero fondata, di essersi ormai conquistato la fiducia degli inquirenti, accettando per tal via anche di accusare soggetti come Nomanhulaq Nomanhulaq e Ikram Ijaz, di cui aveva professato prima l’innocenza». 

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