il fotografo
«In un anno ho perso 40 chili. Neppure il vino riesco più a bere: il sapore è alterato dai medicinali». Così il fotografo Oliviero Toscani racconta in un’intervista al Corriere della Sera la malattia incurabile che l'ha colpito, l’amiloidosi. «Non si sa» quanto tempo resta da vivere, «certo che vivere così non mi interessa. Bisogna che chiami il mio amico Cappato - prosegue -, lo conosco da quando era un ragazzo. Ogni tanto mi vien voglia. Gliel'ho detto già una volta e lui mi ha chiesto se sono scemo».
«Mi viene da ridere: la bellezza è che non avevo mai pensato di trovarmi in questa situazione, è una nuova situazione che va affrontata - aggiunge Toscani spiegando che si sta sottoponendo a una cura sperimentale -. La bellezza è che non ti interessano più patria, famiglia e proprietà, la rovina dell’uomo». Il fotografo, noto anche per i suoi scatti per le campagne Benetton, vorrebbe essere ricordato non per una singola foto ma per «l'insieme, per l’impegno. Non è un’immagine che ti fa la storia, è una scelta etica, estetica, politica da fare con il proprio lavoro». Di morire non ha paura, «basta che non faccia male. E poi ho vissuto troppo e troppo bene, sono viziatissimo. Non ho mai avuto un padrone, uno stipendio, sono sempre stato libero». Anche nella malattia rimane il rapporto con l’amico Luciano Benetton, «quando gli ho detto che avevo una malattia rara lui mi ha risposto: 'Oliviero, tu sei nato con una malattia rara!'. Ci sentiamo due volte alla settimana, ma non voglio che venga. È impegnativa per me una roba così». Quello che lo fa arrabbiare confessa Toscani «è la Meloni con il suo vittimismo! Una che non sa dire 'sono anti fascistà che cos'è? Non sono capaci di governare, non hanno nessuna scusa. Ma gli italiani sono fatti così - conclude -. Guardi in America come si ribellano. In un mese viene fuori l’entusiasmo, la creatività...».
L’amiloidosi, malattia di cui ha rivelato di soffrire il celebe fotografo Oliviero Toscani, è una condizione rara, ma grave, causate da depositi di proteine anomale, chiamate amiloidi, nei tessuti e negli organi di tutto il corpo. Ne esistono di diversi tipi e in Italia colp isce circa 800 persone l’anno. Le proteine del nostro corpo hanno origine da una serie di aminoacidi che si piegano in una forma tridimensionale. L'amiloidosi si verifica quando un’anomalia nelle cellule plasmatiche presenti nel midollo osseo (il tessuto spugnoso al centro di alcune ossa) causa un’eccessiva produzione di proteine chiamate catene leggere. Questo sostanza detta amiloide non si degrada con facilità, come l e normali proteine, ;;e può depositarsi nei tessuti e negli organi causandone il malfunzionamento. I depositi amiloidi, come si legge sul portale dell’Issalute dell’Istituto Superiore di Sanità, «in genere interessano diversi organi come il cuore, i reni, il fegato o il sistema nervoso potando a una riduzione, parziale o completa, del funzionamento dell’organo interessato», fino, in alcuni casi, «a l sopraggiungere la morte, a volte, solo a distanza di un anno o due». In genere si deposita nei reni, causando insufficienza renale, mentre se si depositata nel cuore può determinare un aumento delle sue dimensioni e comprometterne la capacità di pompare efficacemente il sangue nel corpo, provocando un’insufficienza cardiaca. La diagnosi può essere difficili poiché i disturbi che provoca sono spesso, inizialmente, molto generali. «La presenza della malattia - precisa l’Iss - può essere confermata prelevando una piccola quantità di tessuto (biopsia) dalla parte del corpo colpita per poi esaminarla al microscopio». Attualmente non sono disponibili terapie che possano rimuovere direttamente i depositi associati all’amiloidosi e il trattamento mira a prevenire l’ulteriore produzione di catene leggere anormali. Come riporta l’Osservatorio Malattie Rare (Omar), «è possibile trattare l’amiloidosi attaccando le cellule che la producono - il clone di plasmacellule - con l’utilizzo di approcci di chemioterapia e di immunoterapia diretti contro questa piccola popolazione neoplastica». L’aspettativa di vita fino a qualche anno era solo di pochi mesi dopo la diagnosi. Oggi varia a seconda dell’estensione dei depositi amiloidi, dell’età, dalla salute generale e della risposta alle cure. Con le terapie moderne, che comprendono anche la cura degli organi danneggiati, «molte persone sopravvivono per diversi anni e un numero crescente per un decennio o più», concludono gli esperti dell’Istituto. (ANSA).
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