Lodi
Viene condannato al carcere per violenza in famiglia e non può più vedere né moglie né figli: dopo pochi giorni si impicca sul posto di lavoro, una cascina. E' accaduto a San Martino in Strada, borgo alle porte di Lodi. Proprio la settimana scorsa l’uomo, un mungitore 46enne di origini indiane, era stato condannato, con rito abbreviato, a 5 anni e 2 mesi di reclusione.
Era stato ritenuto responsabile dal gup del capoluogo di violenza sessuale, maltrattamenti in famiglia e lesioni. Vittima la moglie 38enne, sua connazionale, con la quale era sposato da vent'anni e con la quale aveva tre figli. Tutto era iniziato lo scorso mese di aprile. I vicini di casa avevano sentito delle urla, erano stati chiamati d’urgenza i carabinieri che, arrivati sul posto, avevano riscontrato che l’uomo era completamente ubriaco mentre la donna aveva lesioni al viso. La consorte era, quindi, andata in Pronto soccorso per ricevere le cure del caso e le ferite erano state valutate guaribili in una ventina di giorni.
Nel corso del processo era anche emerso che il 46enne diventava spesso molto nervoso quando beveva, come spiegato dalla moglie. Un comportamento che andava avanti da tempo. La donna aveva reso noto che nel giro di pochi giorni era dovuta andare all’ospedale Maggiore di Lodi non una ma due volte. Oggi la legale dell’uomo ha spiegato che lui ha sempre negato di aver usato violenza in famiglia. E che era visibilmente molto addolorato per il fatto che non avrebbe «più potuto vedere moglie e figli ai quali era affezionatissimo». Immediatamente dopo i fatti, del resto, era stato disposto, come sempre in questi casi, l’allontanamento dalla casa familiare.
Il mungitore aveva passato settimane in carcere. Poi aveva ottenuto i domiciliari ma nella casa di parenti, dov'è stato fino alla sua morte. In tutto questo periodo, quindi circa 7 mesi, si era sempre professato innocente, anche sentendosi con la sua legale. Era stato accusato anche di aver costretto la moglie ad avere rapporti sessuali: negava anche questo. La donna, nel procedimento, assistita da un’avvocatessa collaboratrice di un centro antiviolenza, si è anche costituita parte civile. A condanna subita, l’uomo si era detto più disperato di non poter più vedere i familiari che della pena che gli era stata inflitta. Si tratta di «una storia dolorosissima», hanno sottolineato insieme le due avvocatesse che hanno assistito da una parte il marito e dall’altra la moglie.
Sono oltre 10 anni che l’Istat prende in considerazione la correlazione tra alcol e violenza di genere. Da oltre un decennio, per l’Istituto di statistica, l’autore della violenza è sotto l’effetto di alcool o sostanze stupefacenti in più del 20 per cento dei casi di aggressioni causate da un partner. E, ormai, la correlazione tra alcol e violenza sulle donne viene considerata, dagli esperti, un binomio spesso fatale.
Forse se l’indiano fosse stato sottoposto a più cicli di cure la sua sorte e quella della sua famiglia sarebbe stata diversa. Un’ipotesi a cui, ormai, è impossibile rispondere.
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