ROMA
Volantini e QR code provocatori invadono Roma per lanciare un messaggio potente: non solo chi diffonde ma anche chi guarda è complice di revenge porn. Una campagna delle studentesse dello IED ribalta la prospettiva.
Decine di volantini tuonano lapidari nei punti nevralgici della capitale: “Guardate Francesca quanto è stata brava l’altra notte!!!!” o “Guardate tutti quella stronza della mia ex nuda!!!”. Sotto, un QR code da scannerizzare per rivelare il contenuto.
Diversi i video circolati online che mostrano giovani posti dinanzi ai volantini che, incuriositi, li inquadrano con i propri cellulari per “sbloccarne” il contenuto, potenzialmente aspettandosi dei “nudes” di ragazze vittime di revenge porn (contenuti sessualmente espliciti ottenuti e diffusi senza consenso).
Ma ciò che si apre davanti ai loro occhi, fortunatamente, non è quanto da loro auspicato. Parte un video che simula l’inizio di un rapporto sessuale, subito interrotto da un ragazzo che guarda dritto in camera e grida: «Che ca**o volevi fare? Volevi davvero guardarla nuda senza il suo consenso? Condividere materiale pornografico senza il consenso dell’altro è reato. E chi guarda non è uno spettatore innocente. Se guardi, sei complice».
«Se guardi, sei complice». Questo è lo slogan di guerrilla marketing di Sei complice, progetto nato dalla mente di un gruppo di studentesse dello IED (Istituto Europeo di Design) di Roma volto a sensibilizzare sul tema del revenge porn. Questa volta però l’attenzione non viene puntata sulle vittime, ma su chi sceglie di guardare contenuti pornografico ottenuto non consensualmente. Secondo il progetto, infatti, «Il revenge porn esiste perchè qualcuno sceglie di guardare».
L’elemento innovativo della campagna Sei complice risiede proprio in questa inversione di prospettiva: chi fruisce di immagini intime ottenute senza consenso non è un semplice spettatore, ma un complice attivo di un crimine.
Un reato che, solo in Italia, nel 2022 ha colpito 2 milioni di persone (Fonte: Permessonegato).
A questo riguardo, ormai da anni, Maria Teresa Giglio, madre di Tiziana Cantone (la giovane donna che il 13 settembre 2016 si suicidò dopo la diffusione virale di un suo video intimo), chiede di «spostare l’attenzione dalla vittima al carnefice».
Eppure, in Italia, ancora 14 milioni di persone guardano contenuti intimi diffusi non consensualmente e tra i “carnefici” solo il 13% si dice pentito (Fonte: Permessonegato).
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