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Ritratto

Emilio Fede, fazioso e irriverente ma grande nelle sue innovazioni

Emilio Fede, fazioso e irriverente ma grande nelle sue innovazioni

di Luigi Bolognini

04 Settembre 2025, 17:22

Di Emilio Fede si è detto e scritto pressoché di tutto in vita, figuriamoci l’altroieri, quando si è saputo della morte. Eppure i ritratti, aizzati dall’isteria dei social, hanno fatto prevalere la parte negativa della vita del giornalista. Che di certo non si è fatto mancare nulla negli ultimi 30 anni, tra nefandezze giornalistiche, legali, morali, sulle quali non è neppure il caso di soffermarci, anche perché – essendo venute alla fine – più o meno ce le ricordiamo tutti, e sennò c’è sempre YouTube.

Però proviamo a osare l’inosabile e a raccontare quel che di buono Fede ha avuto a livello giornalistico. E non per il classico parce sepulto, ma perché di buono ne ha avuto eccome: non si arriva a oltre 80 anni stando sulla cresta dell’onda solo lecchinando e facendo propaganda di partito. E i giornalisti del Tg4, proprio quelli che lui mazzolava in fuorionda che spesso parevano fatti a tavolino per fare divertire il popolo di Striscia la notizia, non avrebbero il dolore sincero che stanno mostrando se non ci fosse stata anche della sostanza. Che risale in buona parte alla Rai, quando con una serie di reportage fece scoprire l’Africa agli italiani, che sul tema erano fermi più o meno a «Bongo Bongo bongo stare bene solo in Congo». Su dettagli tecnici tipo le noste spese che gli valsero il primo dei suoi soprannomi, «Sciupone l’Africano», sorvoliamo e stiamo a quel che è andato in onda.

Secondo, e soprattutto, ha modernizzato l’informazione tv quando andò via dalla Rai. Bisogna raccontare l’epoca: i tg Rai non solo erano oggetto di spartizione politica, che portava a un racconto distorto della realtà, ma avevano conduzioni particolari. Prima, a lungo, speaker, non giornalisti (riguardarsi il fondamentale film «I complessi», dove Alberto Sordi riesce a ottenere l’incarico malgrado degli incisivi da castoro), poi professionisti anche bravissimi (Massimo Valentini, Paolo Frajese), ma che raramente andavano oltre la semplice lettura delle notizie, scritte da loro o da altri. Insomma, speaker anche loro.

Poi successe una cosa banale: a fine anni Ottanta la fu Telemontecarlo per riempire le ore notturne si mise a trasmettere in diretta le Cbs Evening News, praticamente il Tg1 americano per importanza. E in pochi, ma non in pochissimi grazie ai videoregistratori, si accorsero che negli Usa le cose andavano diversamente. C’era quello che si chiamava anchorman, il volto simbolo del notiziario e dell’emittente stessa, nel caso specifico Dan Rather, che leggeva sì, ma poi spiegava, interpretava, dava opinioni, e quindi faceva opinione. Il suo predecessore, Walter Cronkite, era anche più deciso. Un giorno fece un editoriale su una offensiva fallita degli Usa in Vietnam che convinse il presidente Johnson a non ricandidarsi.

Fede capì che una figura così mancava in Italia. E la incarnò lui, prima nel tg su Rete A Contatto, poi a Studio Aperto, che fondò su Italia Uno. Lo faceva anche per un motivo concreto: una redazione allora scarna. E quindi, come si dice, ci mise la faccia. A modo suo, ovviamente, con gaffe indimenticabili, come quando prese la linea da Kay Sandwick per aggiornare sulla guerra in Iraq e commentò «Cosciolone, hai visto che gambe ha quella?» (Cocciolone era un italiano prigioniero di Saddam per chi se lo fosse scordato).
Però per esempio riuscì a dare per primo in assoluto l’annuncio dell’attacco americano a Baghdad. E le notizie le spiegava, non dava mai per scontato qualcosa, vecchio difetto del giornalismo. In modo fazioso, a volte irridente, con tutti i difetti che abbiamo imparato a riconoscergli, ma lo faceva. Ed è stato il primo. Poco dopo, 1992 rispetto al 1991, arrivò Enrico Mentana, che da allora lo ha fatto prima al Tg5 ora alla 7, con tutt’altro stile, ovviamente, e con altra imparzialità, tanto che gli si perdona anche lo spirito di carota delle sue battute. E non a caso entrambi hanno fatto gli anchorman da direttori del proprio tg, per gestirlo in diretta, modellarlo su quel che accade al momento, aumentando in autorevolezza.

Ma a proposito della parzialità, questa in Emilio Fede è stata anche una dote. Mentana è ecumenico, raramente esprime opinioni, preferisce analizzare, perché vuole raccogliere più spettatori possibile. Fede è stato invece chiarissimo fin da sempre, in modo genuino e a volte imbarazzante (nel 1995 ricoprì le regioni italiane di bandierine del centrodestra, salvo dover ammettere man mano che le amministrazioni locali erano andate del centrosinistra). Però si è così creato un pubblico costante, pressoché rinunciando a quello di altre opinioni, a meno che non volessero farsi due risate, indignarsi o sapere quel che pensava davvero Berlusconi, di cui il nostro è stato diretta emissione. E ha anticipato il frazionamento del pubblico televisivo che adesso impera, sia in termini di share che di numeri assoluti, per l’offerta sterminata dei vari canali in streaming e la concorrenza di internet (oltre al fatto che la tv sta passando un po’ di moda). Per forza, per fortuna, per intuito. Chissà, e adesso conta poco. Negli ultimi tempi da direttore era stato l’unico motivo per vedere il suo notiziario, che adesso è ovviamente diversissimo, diretto da altri.

Tutto il resto, Ruby, i fotomontaggi porno che ne causarono il licenziamento, la cortigianeria, l’aggressività, la faziosità, sarà probabilmente quel per cui sarà davvero ricordato, e anche giustamente. Ed ecco il perché di questo promemoria.

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