MILANO
Era "guidato da un pensiero stravagante" e "bizzarro", raggiungere "l'immortalità attraverso l'eliminazione della propria famiglia", ma ancora sotto il suo "controllo". Tanto che ha "distinto la realtà dall'immaginazione" e "ha lucidamente programmato, attuato, variato secondo il bisogno le proprie azioni, prima, durante e doро". Lo scrive il Tribunale per i minorenni nel motivare la condanna di giugno a 20 anni, pena massima in abbreviato, per Riccardo Chiarioni che nel 2024 a 17 anni, a Paderno Dugnano (Milano), uccise padre, madre e fratello di 12 anni. Non riconosciuto dal giudice il vizio parziale di mente accertato dai periti.
Un «manipolatore», che ha progettato gli omicidi «nei minimi dettagli», che ha manifestato «scaltrezza» nel «tendere la trappola per uccidere i genitori nella sua cameretta e non nella camera matrimoniale», dopo aver già colpito il fratellino. E che ha agito in modo «sconcertante" colpendo tutti e tre in «modo cruento», infliggendo loro «numerosissime coltellate, infierendo sui loro corpi esanimi ed anche colpendo alle spalle il padre, dopo aver dato l'impressione di volersi fermare successivamente all’aggressione al fratello ed alla madre». E’ così che la giudice del Tribunale per i minorenni di Milano, Paola Ghezzi, descrive il 17enne che a Paderno Dugnano, nel Milanese, nel 2024 sterminò la famiglia, padre, madre e fratello, con oltre 100 coltellate, dopo che tutti erano andati a letto, finita la festa di compleanno del padre. Pur applicando la «diminuente della minore età e le circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza su tutte le circostanze aggravanti», tra cui la premeditazione, la giudice ha applicato per il giovane la pena massima in abbreviato di 20 anni, non riconoscendo il vizio parziale di mente. Nella sentenza si mette in luce anche «la condotta tenuta immediatamente dopo il delitto» orientata «ad eludere le investigazioni per garantirsi l’impunità: dapprima il piano prevedeva di far ricadere la colpa sulla madre, poi sul padre ed infine su di sé, ma soltanto dopo aver avuto la certezza, attraverso il nonno, che gli investigatori non avessero creduto alla versione fornita in prima battuta ai soccorritori».
Il giudice ricorda anche, come era già emerso, che dall’analisi dei dispositivi del ragazzo erano emerse immagini, come la foto del Mein Kampf, o «esternazioni di pensiero comprovanti la sua inclinazione verso l’ideologia fascista», nazista e «omofoba». (ANSA).
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