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EDITORIALE

Putin non vuole la pace, ma solo sottometterci

Putin

di Pino Agnetti

04 Dicembre 2025, 09:21

Ha perfettamente ragione Donald Trump: «La situazione è un vero disastro!». Non poteva esserci immagine migliore di questa per «fotografare» l’esito delle cinque ore di colloqui a Mosca fra i suoi due inviati (l’ormai celebre Steve Witkoff e il genero del presidente Usa Jared Kushner) e un Vladimir Putin in versione feroce più che mai. Non è stato il solo Trump a decretare il sostanziale fallimento dell’incontro. Pure il principale consigliere di Putin, Yuri Ushakov, presente anch’egli ai colloqui, ha dichiarato papale papale che «nessun compromesso è stato raggiunto sui territori occupati in Ucraina». Tutto ciò, dopo che il suo signore e padrone aveva già gelato gli ospiti americani sbattendo loro in faccia che la Russia non sa che farsene del famoso piano in 28 punti elaborato in precedenza dal solito Witkoff e da un altro fido emissario dello zar, ma successivamente modificato su richiesta di Zelensky e dell’Europa. Il «nemico» più di ogni altro odiato e che Putin è tornato ad accusare di «essere dalla parte della guerra» e di volere impedire alla amministrazione statunitense di raggiungere la pace in Ucraina. Per poi concludere ringhiando che «Se l’Europa vuole farci la guerra, noi siamo pronti e lo siamo fin da subito».

Parole che, proferite da uno che sulle guerre ci campa da oltre vent’anni, un certo qual effetto dovrebbero procurarlo anche a chi prosegue imperterrito a bersi le favole sulla Ue e sulla Nato «guerrafondaie». Cionondimeno, vale la pena di osservare che certe interviste sarebbe meglio non farle, o almeno evitare di rilasciarle nel momento sicuramente meno adatto. Mi riferisco a quella concessa al britannico «Financial Times» dal presidente del Comitato militare della Nato proprio alla vigilia di un tour de force cruciale per il futuro dell’Ucraina e dell’intera Europa. Conoscendo l’Ammiraglio Cavo Dragone e le sue eccezionali doti professionali, morali e umane, sono rimasto come e forse più di altri basito per una uscita pubblica (in sintesi: «La Nato non esclude una risposta preventiva») il cui unico effetto è stato quello di offrire alla controparte su un piatto d’argento lo spunto per vestire i panni del tenero agnellino alla prese con un branco di lupi famelici. Come quasi sempre accade in questi casi, i tentativi di metterci una toppa si sono rivelati peggiori dello sbrego, dando così a chi ci minaccia (non solo a parole, ma a forza di droni, violazioni dello spazio aereo, navi e aerei spia che spuntano dappertutto, sabotaggi e attacchi cibernetici alle nostre infrastrutture energetiche, finanziarie, comunicative e di trasporto, per non parlare del bombardamento ininterrotto di «fake-news») l’incoraggiante impressione di avere di fronte un avversario tutt’altro che compatto e ben coordinato. Se lo scopo era di battere un colpo per dire che c’è un limite a tutto e che la pazienza non va scambiata per la disponibilità a prenderle sempre e senza mai reagire, allora sarebbe stato meglio scegliere un altro momento e che a lanciare un segnale forte e chiaro fosse stato un rappresentante politico a nome e per conto non solo della Nato, ma dell’Europa tutta (e se Orban avesse deciso di mettersi ancora una volta di traverso, affari suoi).

Il che sarebbe servito anche a rimarcare ulteriormente che chi continua a giocare col fuoco non abita a Bruxelles o in qualsivoglia altra capitale europea, bensì e più di sempre al Cremlino. Come per altro ampiamente attestato dai 1.379 giorni trascorsi dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina che fra poco più di due mesi taglierà il tragico traguardo del quarto anno. Un «dettaglio» ritenuto evidentemente di ben scarso valore dalle legioni di esperti di ogni ordine e grado (talora anche militare) che, abilmente imbeccati dall’apprendista stregone di turno, sembrano divertirsi come matti a invertire continuamente i ruoli fra aggressori e aggrediti. Detto che è proprio questo il meccanismo inconscio su cui si basa l’odierna «guerra ibrida», resta da chiedersi se e come sia ancora possibile liberarsi dallo stato di allucinazione permanente in cui viviamo. A dire il vero, il modo ci sarebbe anche e neppure tanto complicato e faticoso. Basterebbe, una volta spenti per prudenza il telefonino e la tv, tornare a camminare nel mondo reale invece che in quello astratto e sempre più di moda della geopolitica. Prendiamo, ad esempio, tutta questa storia delle concessioni territoriali che quel «patetico clown» di Zelensky (per usare una delle definizioni più benevoli che circolano sul suo conto) dovrebbe accettare di fare per porre fine alla guerra. Meglio rinunciare a qualcosa, piuttosto che vedere il proprio popolo schiattare ancora chissà per quanto tempo sotto le bombe, no? Peccato solo che, per potere cedere formalmente anche un solo metro di terra ucraina, Zelensky o chi altri al suo posto dovrebbero prima fare modificare la Costituzione! A cominciare dagli articoli 1 e 2 che vietano tassativamente qualsiasi concessione territoriale. Ma non è finita qui dato che, firmando un simile abominio, il presidente ucraino incorrerebbe nella duplice infamante accusa di alto tradimento e di attentato alla Costituzione.

Ragion per cui, l’Ucraina verrebbe a trovarsi senza più un governo e una guida credibile proprio nel bel mezzo di uno spaventoso conflitto. L’intero Paese sprofonderebbe così nel caos più totale, rendendo di fatto impraticabile anche lo svolgimento di quelle elezioni anticipate di cui oggi si parla tanto. Conseguenze tutte semplicemente catastrofiche per l’Ucraina (e non certo per Putin), ma completamente assenti nelle dotte analisi dei vari «guru» della geopolitica che, fino a pochi giorni prima dell’inizio della «Operazione speciale», si ostinavano a proclamare che «Putin non invaderà mai l’Ucraina». Dopo di che, appare oggi più chiaro in tutta la sua drammaticità il vero senso del recente discorso con cui Zelensky si è rivolto alla nazione: «Ci stanno chiedendo se sacrificare la nostra dignità, oppure rischiare di perdere un partner fondamentale» (cioè l’America). Un «dilemma» impossibile da risolvere, a conferma di quale sia l’unico vero obiettivo di Putin: convincere Trump ad abbandonare l’Ucraina al proprio destino e, al tempo stesso, dividere definitivamente l’America dall’Europa spezzando così l’alleanza fra le due sponde dell’Atlantico. Un piano diabolicamente perfetto. Un piano di guerra e certo non di pace, al quale per potersi inverare manca solo la dichiarazione di resa anticipata da parte non solo di Kiev, ma dell’ultimo autentico baluardo di democrazia e di libertà rimasto in Occidente. E quel baluardo - con tutti i nostri difetti, i nostri errori, le nostre maldestre quanto suicide divisioni, le nostre grottesche e spesso complici amnesie - siamo noi europei. Tutto il resto, non è altro che l’involucro propagandistico - il «Nuovo Ordine Mondiale» che lo zar e i suoi alleati da bravi «rivoluzionari» del Terzo Millennio avrebbero in animo di realizzare - di una strategia di dominio basata esclusivamente sull’uso brutale della forza (ricatto atomico ovviamente compreso) nei confronti di chi non intende sottomettersi.

Risvegliarsi prima che sia troppo tardi da questo malefico incantesimo, di cui il lunare dibattito sulla presunta «militarizzazione» che sarebbe in atto nel Paese non è altro che l’ennesimo incredibile capitolo, è il primo passo da compiere oggi. Ottant’anni dopo la fine del nazifascismo e 36 dopo il crollo del Muro di Berlino, spetta nuovamente a noi di scegliere: se tenerci ben stretta la nostra sia pure imperfetta e mai gratuita e definitiva libertà, oppure lasciarci sottomettere e accettare una all’apparenza più conveniente vita da schiavi.

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