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Lettere al direttore

La condanna del gioielliere

06 Dicembre 2023, 10:07

La condanna del gioielliere/1

Egregio direttore, il gioielliere di Cuneo aveva tutte le ragioni di essere alterato e sconvolto per quello che aveva subito nella prima e nella seconda rapina. L’autocontrollo di fronte ad una minaccia grave lo perdono tutti, tranne quelli che si paralizzano.
Uccidere non è sempre assassinare e c’è un limite umano ai soprusi.
Un giorno di galera per riflettere sarebbe la pena che vorrei per il gioielliere e immedesimandomi nei rapinatori meglio la morte che anni di galera.
Alessandro Cocconcelli
Parma, 5 dicembre

La condanna del gioielliere /2

Egregio direttore, rispetto alla condanna a diciassette anni del gioielliere di Cuneo, vi è da dire che nel nostro ordinamento giuridico il vero guaio è la «difesa legittima», per com’è concepita dall’articolo 52 del nostro Codice penale. E’ che quel testo è del 1930, l’idea tipica del regime fascista di quello Stato.
Da quel tipo di cultura derivano alcune conseguenze giuridiche: la prima è che chi si difende in casa da un’aggressione, per quanto ingiusta e violenta, deve essere sottoposto a indagine. Questo accade perché l’impostazione del Codice prevede che l’aggredito, se si difende, commette inevitabilmente un reato: non deve farlo, perché quella difesa spetta allo Stato.
Ovviamente, attraverso il processo, l’indagato per «eccesso di difesa» viene ritenuto non punibile se non ha superato due limiti: la proporzione della difesa (cioè: non si può sparare a chi è disarmato) e che ( non si può sparare alle spalle del ladro che fugge). Quindi, è evidente che in uno Stato di diritto non ci si può fare giustizia da sé.
Ma è chiaro anche che un cittadino, il quale si trovi un intruso in negozio non sa se sia armato di pistola o di coltello, o disarmato; non sa nemmeno se si accontenterà di arraffare quattro euro o di perpetrare violenza. Tutto avviene in un momento di concitazione, nell’angoscia e nella paura. Così, se la vittima di un furto, di un’aggressione o di una rapina reagisce per paura, spara e magari uccide il ladro, non vuole sostituirsi alla giustizia, ma cerca soltanto di evitare il peggio.
Quel «peggio», tra l’altro, che proprio lo Stato non è riuscito a impedire. Se si volesse un nuovo codice penale, è evidente, l’impostazione dovrebbe essere ribaltata. Nello Stato liberale, il cittadino cede allo stesso Stato la difesa dei suoi diritti naturali, e tra questi l’incolumità e la proprietà, pretendendo in cambio la tutela. Ma se lo Stato è inadempiente, il cittadino ha il pieno diritto di riprendersi i suoi diritti. Insomma, non si tratterebbe più di verificare il rispetto dei limiti imposti dallo Stato al cittadino, ma di quelli imposti dal cittadino allo Stato.
Per essere chiari: lo Stato non avrebbe più il diritto di punire la reazione a un crimine che lo stesso Stato non è riuscito ad impedire. Ma evidentemente questo principio sacrosanto non va bene ai soliti esponenti di certa intellighenzia lontani dai comuni cittadini, perché con le loro porte blindate, le guardie del corpo fuori la porta, non hanno di questi problemi. Per arrivare a cambiare il concetto di legittima difesa a garanzia del cittadino aggredito, servirebbe una politica forte, ma ancora non si vede, neanche in lontananza.
Rino Basili
Parma, 5 dicembre

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