Viaggio della Memoria a Mauthausen: ecco altre riflessioni degli studenti del Romagnosi.
“È incredibile oggi credere come sia stato possibile solo una settantina di anni fa che milioni di persone fossero trattenute e maltrattate in strutture quali i campi di concentramento e i campi di sterminio”. Disumanità. Pianto. Dolore. Fame. Freddo. Umiliazione. Parole spesso usate per descrivere l’esperienza del lager da chi l’ha vissuta. Parole forti senza dubbio. Dopo averle lette e rilette però sentivo come se non bastassero per far capire come era davvero la vita in un campo. Come mai lo sentivo? Non so spiegarlo. Era quando provavo a tirare le somme che me ne rendevo conto. Era quando dopo essermi informato su libri di storia ed avere letto romanzi sui campi e dopo aver visto foto e film, provavo a chiudere gli occhi e chiedermi: cosa era davvero? Cosa significano nella vita vera, quella di quelle persone che è la medesima mia, quella vita che rappresenta un filo di continuità tra me e ognuno dei prigionieri, quelle parole e immagini? Domande senza risposta. Tutto questo prima del viaggio. L’opportunità di andare in quei posti, di esserci con il mio corpo come c’erano stati con i loro corpi generali delle SS carnefici e detenuti vittime, di calpestare la stessa neve che avevano calpestato gli stivali di quei generali e i piedi nudi di quei prigionieri, mi ha fatto sperare di potermi avvicinare un pochino di più al comprendere ciò che era davvero. Ce l’ho fatta a comprendere? In parte sì. Ma non è qualcosa di razionale che ha agito su di me mentre ero lì. Per spiegare quella sensazione cito riflessioni di miei compagni: “Entrando ho avvertito un'aria strana, pesante, segnata da morte”; “la gelida neve copre il campo di concentramento di Mauthausen, ed altrettanto gelida è l'atmosfera che si respira al suo interno. Trovandosi di fronte a quelle baracche, alle alte mura sovrastate dal filo spinato, alle camere a gas o ai forni crematori, il respiro rallenta e la nostra mente torna indietro nel tempo, cercando di rievocare, almeno in parte, come dovesse essere la vita di un prigioniero nel campo, se vita può essere chiamata”. A dire il vero, senza voler sminuire un'esperienza che è stata formativa e che credo ognuno dovrebbe fare, anche stando lì ho avvertito una immensa distanza da quello che quel posto era durante la seconda guerra mondiale. Nel momento in cui provavo a ricreare razionalmente quell'inferno mi accorgevo dell'impossibilità di farlo. Proprio in quella impossibilità, in quella distanza che rimaneva anche nel momento in cui io mi trovavo lì, mi smarrivo arrivando a sentirmi in qualche modo colpevole, arrivando a identificarmi troppo in quelle parole piene di rimorso di Primo Levi nella poesia all'inizio del libro “Se questo è un uomo”. Mi identificavo troppo nel gruppo di:
“Voi che vivete sicuri
Nelle vostre tiepide case,
voi che trovate tornando a sera
Il cibo caldo e visi amici:”
Il motivo di questa distanza incolmabile credo sia l'eccessiva malvagità che animava tutto il sistema dei lager. Malvagità che perché non umana sentiamo come lontana e impalpabile. Però dobbiamo tenere bene in mente che coloro che organizzarono ed eseguirono il sistema dei lager erano uomini, non mostri alieni di un qualche film fantascientifico. Erano uomini. Il fatto che fossero proprio come noi suona e deve necessariamente suonare come un avvertimento. Suona come un avvertimento che ci dice che non la civiltà, non il progresso, forse nemmeno la cultura possono evitare una cosa come quella ch'è successa. Considerazioni che per molti che considerano la storia come un ripetersi continuo di cicli portano a un estremo pessimismo. Ribadisco quelle considerazioni, ma voglio negare con forza quel pessimismo. Come mai? Perché esiste la Memoria. Proprio qui sta il valore del “viaggio della Memoria”: mantenere vivo il ricordo di ciò ch'è stato al fine di non farlo avvenire più. In questo momento storico in cui non lontano da noi, nei nostri mari e in paesi vicini, muoiono migliaia di persone, è fondamentale ricordare e mantenere vivo nella memoria quello che è stato nei lager nazisti e da lì comprendere il valore della vita, di ogni singola vita. Comprendere che se continuiamo a guardare certe cose con quell'indignata indifferenza tipica di molti di noi facilmente arriveremo ad abituarcene , esattamente come i tedeschi si abituarono allo sterminio ebraico fino a considerarlo come normale. Qualcosa di simile non deve più succedere. Un uomo che muore su un barcone di migranti sulle coste della Sicilia non è diverso da un uomo morto in un campo di concentramento. Riporto alcune riflessioni di miei compagni: “"Mai più" dicono le parole scritte sui muri della vecchia lavanderia. Mauthausen è un monumento a ciò che è stato e che non dovrà ripetersi”. “Oggi, a Mauthausen, credo di avere finalmente capito cosa intendesse Nietzsche quando parlava di "danno della storia". Il filosofo tedesco affermava che l'uomo, a differenza dell'animale, non può non ricordare il passato perché è attraverso questo che egli prende piena consapevolezza della sua esistenza nel presente. La storia dunque non può fermarsi ad una mera conoscenza ma deve diventare il mezzo attraverso il quale l'uomo vive e agisce consapevolmente nella realtà in cui vive”.
Francesco Petronio, Liceo classico Gian Domenico Romagnosi.
Elenco studenti: MICHELE BANDINI CHIARA BARBERA CHIARA BENASSI ELISA BERTOZZI ALESSANDRO BONI ILARIA BOSTICCHI MARIA CREMONINI FRANCESCA DE SENSI ELISABETTA GHERRI SOFIA FONTANA MARIA CHIARA INCERTI ILARIA MAESTRI NINA ROSA MARANCI LEA NEGRONI MARTINA PANNO VIRGINIA PATTERLINI FRANCESCO PETRONIO ARIANNA PREVITERA GIULIA PRIVITERA MARTA SANI ALICE ZANCHETTA CHIARA ZILIOLI
DOCENTE: EMANUELA GIUFFREDI
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