IL TEST
La consacrazione arriva con le affermazioni di un tale di nome Gordon Murray, padre della mitica McLaren F1 anni Novanta. «Alpine A110? L’auto migliore che io abbia mai guidato». Tanto da comprarsene una e utilizzarla come «benchmark» per sviluppare la sua nuova supercar, la Murray T.50.
Se, insomma, ai comandi della A110 del terzo millennio, indovinatissimo remake della vettura da rally del ‘62, assapori emozioni speciali, hai la certezza di essere in autorevole compagnia. D’altra parte, assuefatti da Suv e crossover, trascorrere un fine settimana chiusi dentro l’abitacolo di una coupé sportiva «pura» è un’opportunità che per qualunque appassionato dovrebbe essere prevista dalla legge. Almeno, dalla legge di… attrazione.
L’amore sboccia al primo giro di volante, ma la simpatia per questo gioiellino che in Italia soffre di un immeritato anonimato inizia ancora prima di salire a bordo. Il look colpisce sia per quelle proporzioni fluide, ma aggressive il giusto, sia per le appendici aerodinamiche che odorano di pista da un chilometro, e che distinguono A110 S dalle A110 più «civili». Tipo lo splitter anteriore e lo spoiler posteriore, ambedue in fibra di carbonio. O anche i cerchi in lega leggera da 18”, avvolti in Michelin Pilot Sport 5 e sotto le cui razze si nascondono pinze freni sovradimensionate in tinta carrozzeria, che mordono dischi da 320 mm.
«Scesi» al suo interno, l’acquolina in bocca la generano invece i sedili a guscio Sabelt (solo due), il cruscotto e il volante in pelle scamosciata. La pedaliera in alluminio, come i paddle del doppia frizione a 7 marce solidali col piantone dello sterzo. Il tasto rosso corsa «Start» sul tunnel. Le maniglie porta a nastro. E questo è niente, nei confronti della scarica di adrenalina generata dal timbro di voce del motore appena sveglio.
Credi che 4 cilindri non siano abbastanza per suonare musica d’autore? Sbagli, il 1.8 TCe turbo benzina di origine Renault di Alpine A110 è un piccolo talento e nulla ha da invidiare a un «ottovù» o a un «flat six». Specie dopo che hai trovato il coraggio di impostare la modalità Track tramite l’apposito bottone (modalità che irrigidisce lo sterzo e le sospensioni a quadrilatero e moltiplica la sensibilità del pedale del gas), e in rilascio vieni raggiunto da un bellico scoppiettio dallo scarico centrale. Voce, ma anche muscoli: con quasi 300 Cv, proiettare a velocità drago una coupé da poco più di 11 quintali, per il «milleotto» è un esercizio di routine. Sta al driver, semmai, sintonizzarsi sulle stesse sue frequenze ed esplorarne i limiti in pieno controllo, registrando una coordinazione occhi-mani-piedi da pilota provetto.
Meglio infatti ricordarsi che A110 è sia una trazione posteriore, sia una coupé a motore centrale. Con tutto ciò che un’architettura tanto corsaiola comporta in termini di distribuzione dei pesi e di reazioni in caso di accelerazioni brusche in uscita di curva, su asfalto bagnato e non. L’elettronica in realtà vigila sempre, anche se disattivi l’Esp: ne trae vantaggio la sicurezza, ne esce leggermente penalizzato il divertimento, qualora pagassimo il ticket di ingresso di un circuito - il suo habitat naturale - e volessimo esercitarci in qualche acrobazia di «drifting».
Pista (meglio) o strada pubblica (con più prudenza ed entro i limiti), A110 una supercar in miniatura facile da domare, dal prezzo modulabile a seconda della declinazione (dai 63.800 euro della base ai 107.000 della estrema A110 R, passando per i 76.050 di A110 S), infine «quasi» adatta - per un single - anche alla guida quotidiana. Se accetti di affrontare i dossi a passo d’uomo, di disporre di due mini-bagagliai da un trolley ciascuno, di sollecitare schiena e collo un pelo più che su un morbido Suv. Però quel sound, quel look, quella preparazione atletica. Quel fascino da oggetto misterioso, per intenditori veri. Quintessenza di una gioia fanciullesca.
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