Un grande disco quello registrato dal vivo oltre cinquant’anni fa, esattamente il 26 marzo 1971 alla Newcastle City Hall. “Pictures at an exhibition”, terzo album degli Emerson, Lake & Palmer, supergruppo britannico di progressive rock, è entrato nella storia fin dalla sua uscita. Pubblicato dopo “Tarkus” (ma, in realtà, registrato prima), altra pietra miliare del prog uscita lo stesso anno, in questi “quadri di un'esposizione” - la traduzione del titolo -, il trio rielabora alcuni brani dell’omonima opera del celeberrimo compositore russo Modest Petrovic Musorgskij. Veri virtuosi, Keith Emerson, Greg Lake e Carl Palmer (i primi due scomparsi nel 2016), danno vita a un vero e proprio manifesto del prog, genere dove la musica classica e colta e quella rock si compenetrano. Anche questo album, come “Tarkus”, è, inoltre, uno dei numerosi dischi usciti nel ‘71, un anno d’oro per la musica rock, di alcuni dei quali questa rubrica si è già occupata. Capolavori come “IV” dei Led Zeppelin, “Nursery Cryme” dei Genesis, “Aqualung” dei Jethro Tull o “Pawn hearts” dei Van der Graaf Generator.
“Disconi” che in cinquant’anni non hanno perso un briciolo della loro magia. Anzi, continuano ad affascinare gli appassionati e, specie tra i giovanissimi, a trovarne di nuovi. Tornando all’album del trio inglese, Emerson, Lake e Palmer lo avevano in pratica già proposto dal vivo nel 1970, per la precisione al festival dell’Isola di Wight. Nel lavoro, insieme alle opere pianistiche del compositore russo morto nel 1881, vengono presentati anche pezzi originali della band.
Passando ai “quadri”, tra parti cantati e solo strumentali, l’album si apre con “Promenade” eseguita da Emerson all’organo a canne del municipio di Newcastle, che verrà riproposta altre due volte nel disco. Le suggestioni da Musorgskij, intervallate da pezzi originali del trio come “The stage” e “Blues variation”, proseguono con le atmosfere tetre e fascinose di “The gnome” e “The old castle”. Misterioso e avvolgente il trittico sulla Baba Yaga, creatura leggendaria della tradizione russa, fiaba nera in versione prog. La chiusura è affidata all’indimenticabile “The great gates of Kiev” e a “Nutrocker”, gioco di parole per presentare la versione rock ‘n’ roll dello Schiaccianoci di Ciajkovskij, altro momento geniale di un album forse non facile ma che, anche cinquant’anni dopo, merita di essere ascoltato.
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