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Uriah Heep, i cinquant'anni di "Salisbury"

21 Maggio 2021, 05:55

di Michele Ceparano

Cinquant'anni fa usciva un album destinato a entrare nella storia del rock. Si tratta di “Salisbury” del gruppo inglese degli Uriah Heep. Nome letterario ispirato da un controverso personaggio del romanzo ottocentesco “David Copperfield” di Charles Dickens, la band aveva esordito l'anno prima con “Very 'eavy...Very humble”, di cui “Il disco” si è occupato per il suo cinquantesimo.

Nel febbraio '71 gli Uriah Heep sfornano, invece, “Salisbury” che, assieme a “Demons & Wizards” del 1972, risulterà tra i loro lavori più interessanti e apprezzati. Bisogna subito dire che gli Uriah Heep avrebbero meritato un maggiore successo. A quei tempi, però, pagarono forse lo scotto della competizione con alcuni gruppi monstre, come i Led Zeppelin, i Deep Purple e i Black Sabbath. Anche loro, comunque, seppur al cospetto di cotanta grandezza, restano a buon diritto tra i leggendari gruppi rock di un periodo inimitabile.

“Salisbury” è un album in cui David Byron, cantante morto nel 1985, e soci mescolano diversi tipi di rock, dal progressive all'hard fino al blues. Ma la loro musica è anche influenzata dal jazz. Insomma, un magico calderone che impreziosisce un lavoro che ha nella suite di oltre sedici minuti, ma non solo, il suo momento più alto.

“Salisbury”, il lunghissimo pezzo che chiude l'album, a tratti davvero imponente, è un pezzo storico. Sia il titolo che il carro armato in copertina richiamano Salisbury Plain, base militare del Wiltshire, in Inghilterra. Ma non lontano c'è anche Stonehenge, luogo di enorme suggestione.

Un altro pezzo destinato a un grande avvenire in questo lavoro è, inoltre, certamente “Lady in black”, partorita dal genio di Ken Hensley. Una ballata dalle atmosfere misteriose, oltre che dagli intenti pacifisti. Come tutti i brani di successo, anche questo, che resta tra le punte massime degli Uriah Heep, fu oggetto di numerose cover tra cui, nel '72, quella di Caterina Caselli. La cantante modenese la ripresentò in italiano con il titolo “L'uomo del paradiso”.

Di grande impatto è, però, anche “High Priestess”, la papessa dei tarocchi, con cori e assoli di chitarra e un finale psichedelico. I tarocchi e i loro misteri hanno, infatti, sempre affascinato i musicisti, e in particolare quelli prog, come testimonierà, nel '75, “The voyage of a alcolyte”, primo album solista di Steve Hackett, a quei tempi ancora nei Genesis.

Ma nel disco, composto da sei pezzi, ci sono anche la potente e hard rock “Bird of prey”, che esalta la voce di Byron, “The park”, lenta e sognante, e “Time to live”, sul ritorno alla libertà dopo l'esperienza della prigione. Gli Uriah Heep nel '71 fecero il bis e pubblicarono, a ottobre, “Look at yourself”. Un album anticipatore di “Demons & Wizards”, quasi un punto di arrivo per una band che, agli inizio degli anni Settanta, aveva già dato quasi tutto il meglio di sè .

Da YouTube Lady in black

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