Tra i meravigliosi quarantacinquenni c’è sicuramente “Wish you were here”, album leggendario dei Pink Floyd pubblicato appunto nel '75. La band inglese, all'apice della carriera dopo la pubblicazione due anni prima di “The dark side of the moon”, lavoro che ha cambiato la storia del rock, entra in studio ad Abbey Road, a Londra, con lo scopo di pubblicare un lavoro dedicato a Syd Barrett che lavorò con il gruppo solo nei primi due album, “The piper at the gates of dawn” e “A saucerful of secrets”. Poi fu allontanato dalla band stessa per quei problemi psichici che lo avrebbero tormentato fino alla morte arrivata nel luglio del 2006 dopo una vita scandita dalla droga e dall’isolamento. Nel 1970 il cantautore pubblica però due album: “The madcap laughs”, a cui collaborarono anche gli ex soci Roger Waters e David Gilmour, e “Barrett”, che vide il supporto anche di Rick Wright. Non sono molto noti ma vale la pena ascoltarli.
Durante la registrazione di “Wish you were here” accadde un fatto incredibile: Barrett fece visita alla band. Ricomparve dal nulla e al nulla tornò perché non disse alcunché ai suoi vecchi compagni di strada. Insomma, un fantasma. Ma quell'apparizione, divenuta leggendaria, contribuì ancora di più alla fama di questo album “segnato dal destino”. Barrett, la cui presenza aleggia per tutto il disco, è il diamante pazzo di “Shine in you crazy diamond”, uno dei brani dei Pink Floyd destinati a fama imperitura. Quella del diamante pazzo, 25 minuti in nove movimenti che aprono e chiudono l’album, è una suite che avrebbe dovuto occupare un intero lato del vinile. Ma “Wish you were here” è, se possibile, anche tanto di più. Sotto quella cappa oscura e angosciante che non abbandonerà mai i dischi di Waters, Gilmour, Wright e Mason, prendono vita altri brani storici.
Il pessimismo cosmico che caratterizzerà le loro opere e che troverà un altro punto altissimo, l’ennesimo in una produzione già leggendaria, in The Wall” di cui nel 2019 sono stati celebrati i primi quarant’anni, è riscontrabile anche in “Welcome to the machine” che, al pari della seguente, “Have a cigar” rappresenta un duro atto d’accusa all’industria discografica e all’industria in genere che schiaccia l’uomo. La seconda è anche autobiografica (l'immagine del discografico che con il sigaro in bocca promette successo e fama) e coincide con l'esperienza della band ai tempi del primo contratto firmato con la Emi. L'album contiene, però, anche il brano che dà il titolo all'intero lavoro, l'ennesimo destinato all'immortalità. “Wish you were here” - che non sarebbe, come spesso si è ipotizzato, stata scritta per Barrett - è infatti la canzone degli interrogativi sull’esistenza dell’uomo introdotti dal celeberrimo arpeggio. Il testo sembra essere, invece, stato ispirato a Waters dalla scomparsa della nonna. Comunque, un altro capolavoro che anche dal vivo farà impazzire i fans. Merita una citazione anche la copertina con l'uomo in fiamme che stringe la mano a un'altra persona (per lo scatto realizzato a Los Angeles negli studi della Warner Bros, vennero utilizzati due stuntmen, Ronnie Rondell e Danny Rogers, uno dei quali si procurò delle bruciature), firmata dal “solito” Storm Thorgerson. Una copertina enigmatica e, come le altre dei Pink Floyd, destinata a entrare anch'essa nella leggenda. Così come la confezione dello stesso disco, anche questa destinata al mito, quella della stretta di mano tra due robot.