Nel 1979, quando esce la colonna sonora del film di Julian Temple “The great rock 'n' roll swindle” (tradotto: la grande truffa del rock and roll) i Sex Pistols praticamente non esistono più. Almeno, non esiste più quella band trasgressiva, meteora del punk ma impossibile da dimenticare, che si era esibita per la prima volta il 6 novembre del '75 a Londra. Mentre sugli scaffali dei negozi di dischi arriva l'album che ha da poco compiuto quarant'anni (per l'uscita del film ci sarà invece da attendere il 1980), il gruppo ha perso i suoi due elementi più carismatici: Johnny Rotten, infatti, ha lasciato mentre Sid Vicious è morto. Il film, o come si dice oggi il docu-film, narra l'ascesa, culminata con l'album “Never mind the bollocks” (che, va ricordato, si trova ancora in bella mostra sugli scaffali dei negozi che vendono cd), e il rapido declino della controversa band inglese. Controverso anche il film che annovera nel cast perfino Ronnie Biggs, divenuto leggendario più per aver preso parte nel '63 alla rapina al treno postale Glasgow-Londra che per le qualità artistiche.
Il lungometraggio racconta la band dal punto di vista del vulcanico manager Malcolm McLaren che dichiarerà, più o meno, di aver “creato il gruppo solo per spillare soldi alle case discografiche”. Insomma, Johnny Rotten, vero nome John Lydon, è soci altro non erano che "puppets", marionette che McLaren muoveva a proprio piacere. I membri della band risposero a McLaren nel 2000 come interpreti di un altro docu-film, "The filth and the fury", diretto sempre da Julian Temple.
Tante, come al solito quando di mezzo ci sono i Sex Pistols, le polemiche: Rotten, presente solo nelle scene “d'archivio”, si espresse polemicamente sul film e qualche anno dopo citò in giudizio e vinse una causa contro Mclaren per dei compensi non pagati. Questa colonna sonora però è sicuramente da riscoprire. A partire dalle cover in cui la band rifà, alla sua maniera, pezzi leggendari del rock'n'roll come “Rock around the clock” di Bill Haley, “Johnny B. Goode” di Chuck Berry, “Somethin else” di Elvis Presley fino all'interpretazione fatta da Sid Vicious di “My way”, che ha "radici" francesi ma che fu portato al successo da Frank Sinatra. La versione di Vicious resta comunque uno dei pezzi più celebri di questo lavoro.
Nel disco c'è spazio comunque anche per alcuni pezzi storici dei Sex Pistols da “God save the queen” (in versione sinfonica) a “Emi”, sempre orchestrale, fino all'immarcescibile “Anarchy in the U.K.”, in inglese e, con tanto di fisarmoniche, in francese. "L'anarchie pour le Uk" è quanto di più lontano dal ritmo del british punk. E, per di più, è in francese. Ma è proprio questa l'ennesima, riuscita, provocazione. Come la partecipazione di Biggs che canta in "No one is innocent" e "Belsen was a gas" registrate in Brasile dal momento che lui a quel tempo era latitante. La seconda canzone, conosciuta anche come "Einmal war Belsen Wirflich Bortrefflich", al pari di "Holydays in the sun", cita il campo di concentramento nazista di Bergen-Belsen e susciterà parecchie polemiche. "La grande truffa del rock and roll", che è anche il titolo di un brano dell'album, comunque, checché se ne pensi, è un disco che vale la pena ascoltare. Un lavoro che fa sorgere anche una domanda: ma i Sex Pistols furono davvero una truffa?
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