×
×
☰ MENU

L'ex comandante parmigiano: «Gli afghani abbandonati. È stato il loro 8 settembre»

L'ex comandante parmigiano: «Gli afghani abbandonati. È stato il loro 8 settembre»

di Roberto Longoni

18 Agosto 2021, 10:27

Tempo, ancora più tempo sarebbe servito: quello non concesso dalla politica, dai bilanci, dagli interessi del momento più importanti delle alleanze. L'Afghanistan è terra coriacea, non basta un mordi e fuggi per conquistarlo per davvero. Figuriamoci se lo si vuole  cambiare. Venti anni non sono niente per il passo lento della storia tra queste montagne. Marco Bertolini lo sa bene, lui che fu in Afghanistan due volte: nel 2003 a Khost, al comando del contingente italiano, e nel 2009 a capo della missione Isaf. Allora, nemmeno di fronte alle sei bare allineate dei suoi, caduti in un'imboscata il 17 settembre a Kabul, pensò all'ipotesi del ritiro. C'era da compiere una missione. Tutto invece è stato lasciato a metà: l'abbandono dell'Afghanistan al proprio destino consegna ilPaese al secondo dominio dei talebani. Come una resa.

 Generale, perché è precipitato tutto così in fretta?
Credo che il passaggio dalla presidenza Trump, con la quale si era negoziato a Doha, all'amministrazione Biden abbia permesso ai talebani di trasformare in vittoria quello che avrebbe dovuto essere un pareggio.
Ma essere presi così in contropiede anche sui tempi...
Certo. Gli americani sono in possesso di mezzi strepitosi, droni, satelliti. Ma ricordiamo che già nel 2014 liquidarono l'avanzata dell'Isis in Iraq come il semplice movimento di una formazione armata. La tecnologia in questo campo ha una grande importanza, ma solo a completamento dell'intervento umano. Specie quando si deve combattere contro chi ha grandi capacità di dissimulazione e resilienza.

Si è pagato il peso di un  obiettivo fin troppo ambizioso, per non dire arrogante?
Se ci si proponeva, così come era nelle intenzioni degli americani, di imporre un sistema politico differente direi proprio di sì. D'accordo, Biden in questi giorni ha smentito che lo scopo della missione fosse questo, ma a sua volta è stato smentito dagli sforzi compiuti in tutti questi anni. L'obiettivo era irraggiungibile: cercare di imporre un sistema politico basato sul modello occidentale dove vigono valori diversi non era possibile e nemmeno giusto.
Del resto, lo si poteva verificare a ogni elezione.
Certo. Non so quante volte si sia andati alle urne in questi anni in Afghanistan. Bastava osservare i nomi delle liste, per misurare la distanza dalla nostra idea di democrazia. Si confrontava il partito Pashtun contro quello Tagiko e via discorrendo. Erano più contese etniche che  vere elezioni. In realtà, nella maggior parte del Paese, a esercitare davvero il potere sono i “feudatari” locali.
Nemmeno dal punto di vista militare c'erano stati risultati davvero risolutori: la classe dirigente talebana non era stata molto indebolita dall'intervento occidentale.
Era riuscita a riparare oltre confine: a cominciare dal mullah Omar fuggito a Quetta sulla motocicletta guidata dal mullah Barabar, quello che ora (morto il suo capo per malattia, ndr) si propone tra le guide del Paese. Lo stesso Osama Bin Laden fu ucciso ad Abbottabad, in Pakistan. Islamabad ha sempre tenuto il piede in due staffe e ora vede rafforzato il proprio ruolo.

Altri che potrebbero avvantaggiarsi?
La Cina, innanzitutto. Cercherà di riempire il vuoto. In luglio, il mullah Barabar è stato ricevuto con tutti gli onori a Pechino dal ministro degli Esteri Wang Yi. In ballo c'è la Via della Seta: ora si apre la possibilità di raddoppiarla... C'è poi la Russia che se ne dovette andar via in malo modo nel 1989. Anch'essa può vedere rafforzato il proprio ruolo, dopo che gli americani si sono dovuti ritirare in modo ancora più umiliante. Infine, c'è la Turchia, ai cui soldati spettava il controllo dell'aeroporto. In questi vent'anni ha sempre mantenuto un comportamento per così dire prudente, anche in Afghanistan.
C'è stata una mancanza di vera strategia?
Parlerei di errori che si ripetono. Come in Iraq: quando gli americani lo “liberarono”, fecero sbandare il suo esercito, sottoponendolo ad altri modelli organizzativi. Da lì prese forma la guerriglia e poi l'Isis. Che cosa dire poi della Somalia (il generale Bertolini è stato in missione anche nel Corno d'Africa, ndr)? Ora noi siamo tutti concentrati sul tradimento degli afghani, ma trent'anni fa fu fatto lo stesso a Mogadiscio. In Somalia avevamo portato un po' di ordine, pace e ottimismo e poi all'improvviso si è venuti via, con  conseguenze  sotto gli occhi di tutti. Vogliamo parlare della Libia? O della Siria? Su pressione degli americani abbiamo ritirato la nomina a cavaliere di Gran Croce del presidente Assad conferita da Giorgio Napolitano nel 2013. Assad che con il proprio esercito, i russi e i peshemerga curdi ha respinto l'Isis.

Peshmerga a loro volta traditi.
Vennero portati dagli americani sulla riva orientale dell'Eufrate e poi abbandonati ai turchi. In questa parte di mondo possiamo dire che sono stati compiuti azzardati esperimenti politici e militari.
Ma torniamo all'Afghanistan: com'erano i rapporti dei nostri contingenti con la popolazione?
In estrema sintesi, parlerei di due Afghanistan. In quello delle città, dove la presenza dell'Isaf era più consistente, credo che in questi vent'anni la gente abbia in larga parte apprezzato la possibilità di vivere   in un sistema più aperto. Si era creato anche un certo indotto attorno alle nostre basi e quindi anche un relativo benessere. Diversa la situazione nei piccoli villaggi con le case di fango essiccato: qui la presenza degli occidentali non poteva che essere discontinua. Era il contesto ideale perché continuasse la presenza dei talebani  mescolati con la popolazione.

Talebani davvero così numerosi?
Quello che stanno vivendo gli afghani è una sorta di 26 aprile, quando in Italia si contavano molti più partigiani che il 24 o il 25. Tanti, che negli anni precedenti erano contentissimi di essere liberi di muoversi e di commerciare, per poter sopravvivere, più o meno volontariamente, sono entrati nelle fila dei talebani.
Sarà peggio di prima?
Spero di no. Prima i talebani erano davvero terribili. Mi auguro che abbiano maturato la consapevolezza di aver bisogno di riconoscimento internazionale, che siano in grado di moderare i loro comportamenti. Sarà fondamentale capire chi avrà il potere tra loro: se i capi che si sono seduti al tavolo dei negoziati con l'amministrazione Trump o gli altri.
Il nostro contingente che ruolo ha avuto in tutti questi anni?
Eravamo in guerra, nonostante si parlasse molto di operazioni umanitarie. Abbiamo costruito strade, ponti e pozzi, ma il nostro centro di gravità era l'attività operativa. I nostri soldati, il fior fiore delle nostre Forze armate, con gli alleati, si sono trovati a dover controllare un territorio pari al centro e al nord Italia. Con cinquemila effettivi in tutto. Missione compiuta in modo egregio. L'Italia si è fatta rispettare per il coraggio dei suoi: una figura da  sfruttare meglio a livello internazionale... Abbiamo dovuto anche affrontare periodi durissimi, con parecchie vittime. E proprio allora le richieste di arruolamento erano tali da superare di gran lunga le disponibilità. Ora che invece il nostro Esercito si vede impegnato in quell'operazione ridicola chiamata Strade sicure le domande sono crollate.

I soldati afghani, come li giudica?
Con loro i rapporti erano ottimi. I nostri ufficiali e sottufficiali che andavano a operare con gli afghani. Sono nati rapporti di amicizia e di reciproco rispetto. Addolora pensare a quanti siano morti combattendo e vedere la rotta generale dell'esercito. In realtà, i soldati non sono stati vigliacchi: sono stati abbandonati a loro stessi. Il primo a decidere di non combattere è stato lo stesso presidente Ghani. Questo è stato il loro 8 settembre.
Il pensiero non può non andare ai nostri caduti. Sacrifici inutili?
Le loro morti rappresentano un dolore che non si può dimenticare. Ma se fosse solo la vittoria a rendere utile il sacrificio della vita, allora staremmo freschi. Quanto è stato compiuto ha permesso a una generazione di afghani di crescere in un ambiente più libero e sicuro, ha permesso l'accesso all'istruzione anche alle bambine e ai bambini non necessariamente alle scuole coraniche. Ora tutto è crollato, ma almeno parte di quanto si è fatto a costo di grandi sacrifici lascerà il segno.
 

© Riproduzione riservata

CRONACA DI PARMA

GUSTO

GOSSIP

ANIMALI