Un mare di ricordi e indimenticabili aneddoti
Charlie “Rapino” Mallozzi è uno dei più grandi amici di Kampah. Parmigiano, ha fatto fortuna a Londra come produttore discografico e talent scout (tra gli altri, ha prodotto i Take That). Ha lavorato per numerose case discografiche (è stato anche direttore artistico della Sony Music) e oggi è vicepresidente di Artist First. Dal 2009 è ospite nel talent show “Amici” di Maria De Filippi.
Una mustang che sfreccia sulla PCH in California, con Ziggy Stardust sullo stereo a volume allucinante. E Kampah che sorride come un pazzo, felice, gongolante. Ci fermiamo a Santa Monica con Fabi e mi dice: «Vedi Charlie, noi siamo spiriti liberi, pensiamo extra large. Guarda qua le strade larghe, i posti larghi, lo spazio… Io e te abbiamo bisogno di questo spazio. Dei monumenti e della buona cucina tu ed io non ci facciamo un c…».
Definire Flavio un pensatore extra large era in effetti limitante. O meglio dare un limite alla sua immaginazione e alla sua voglia di fare era più o meno come dare multe per eccesso di velocità all’Indy 500. In quel periodo le cose andavano top per il ragazzo di piazzale Inzani. Si parlava dappertutto di Kampah e della sua compagnia Kampah Visions, Madonna inclusa. I suoi lavori, devastanti, nel giro di sei mesi avevano rivoluzionato la scena dei media californiani. La sera prima mi portò al Roxbury, allora il club più in di Hollywood. Alla mia rimostranza («Kampah, ma non raccontare coglionate, qui a noi non ci fanno entrare!») e al primo rimbalzo dei buttafuori, Flavio prese il cellulare, eravamo nel ‘94, allora una specie di sepolcro Motorola, e chiamò direttamente il padrone del locale. Bastò poco. «It’s Kampah, am here with some friends». Il boss venne fuori a razzo e dopo avere ramazzato a dovere i machos del security – «How F@@@king dare you!» – ci fece sorpassare una fila di circa 450 persone, tutte celebs o filo celebs, per essere regalmente scortati al nostro tavolo («free drinks, thank you»), da dove vennero cacciati in malo modo alcuni membri dei Guns and roses o di qualche gruppazzo di allora. E Kampah rideva… «Hai visto, coglione?».
È lo stesso sorriso che vedevo quando nello specchietto retrovisore della mia fottuta 127 nel 1984 sulla riviera, mentre alla velocità della luce ci stavamo fiondando a vedere il nostro Bowie con Let's dance prodotta da Nile Rodgers. In prima fila ovviamente l’addetto alla security dell’arena ci faceva un baffo, visto che avevamo rischiato l’arresto dopo perquisizione/persecuzione dei Ginkos francesi della dogana. Kampah e suo fratello Gaino si erano vestiti in full gear, i Duran in confronto sembravano quattro bancari. (Tra parentesi i Duran Duran erano in prima fila con noi).
Per non scordarsi dell’incontro con Morgan, con telefonata notturna in triangolo Los Angeles-Dubai-Los Angeles ormai passato alla storia, ma questa la lascio al Morgan e alla ovvia serie Netflix, come del resto il periodo alla “some came running” di Parma in una specie di casa comune col sottoscritto, il Bongo e Kampah (vedi foto MI6 style in Bmw).
Non riesco a mettere Kampah in un luogo, in realtà. Probabilmente ad un certo punto avrebbe mandato in tilt qualsiasi Gps, da Sydney a Bali a Hong Kong, per passare da Londra, dove una volta mentre lo aspettavo al terminal se n’è uscito di fianco a David Bowie che ci salutò in italiano.
Quando ero con Kampah io, che ero un extra large thinker, mi sentivo un provinciale un po’ piccolo borghese pure. Penso che questi episodi possano descrivere Kampah e il perché abbia lavorato con tutti. Il suo extralarge non era per niente arrogante. Anzi era aperto, umile. Non era solo il suo lavoro la sua arte, ma la sua empatia, la sua generosità che lo ha portato a lavorare per i più grossi brand, dalla Coca Cola a Mtv, passando per Ridley Scott e gli U2.
Mi stringo oggi alla tua famiglia, alla Pina, a Andrea, Barbara e a Gaino e alla mia “nipotina” Irene e al tuo mentor di sempre, il grande Augusto Vignali e al sempreverde Paul Sears.
Sei uno spirito libero che adesso è definitivamente libero. Ma ho una domanda: adesso che non sei qua, Flavio, io... che faccio?
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