I modi aristocratici, nel senso etimologico dei “migliori”, lo sguardo teso al bello, il libro della memoria spalancato al capitolo degli incontri eccellenti. L'animo da sempre incline a imprese spericolate e impossibili: l'ultima, il Labirinto più grande d'Europa, un'utopia mutuata da un cieco visionario, è diventata realtà da un anno. Un altro colpo è già in canna: dare una dimensione estetica al tratto di A1 tra Milano e Bologna.
Franco Maria Ricci «arbiter elegantiarum», l'uomo che ha fatto del proprio nome un marchio, che ha venduto la bellezza su carta patinata stampando la rivista FMR, in quattro lingue dal 1982 al 2004 («Un miracolo»), potrebbe stare ore a raccontare la vita, gli amici, il pensiero, vestendo di normalità l'eccezionalità. A 78 anni, mentre doma gli acciacchi, vive e lavora - in un tutt'uno - circondato dai bambù e dalla collezione di opere d'arte che qualche anno fa il regista da Oscar Giuseppe Tornatore trasformò in set per il film «La miglior offerta»
Franco Maria Ricci, una carriera mirabile iniziata a Parma (l'innamoramento per Bodoni) che si è riversata nel mondo e, infine, come nei "nostoi", i ritorni dell'epica greca, ha ritrovato il punto di partenza (Fontanellato, il Labirinto). Partiamo da lì dunque, dalla Parma della sua giovinezza.
«Vivevo seguendo le mie passioni, strane. All'università studiavo geologia, mi affascinava la speleologia. Addirittura avevo fondato una società di speleologia italiana, con sede a Parma. Eravamo un gruppetto di ragazzi e una sola ragazza, di Cremona, i capelli biondi perennemente raccolti in una treccia. Trascorrevamo i weekend, con le lampade appiccicate in fronte, nelle grotte sotto terra, nella zona adriatica, tra la Romagna e le Marche. Se le vedessi adesso, scapperei. Mi prese anche la passione di correre in automobile, facevo cose pericolose. La mia prima auto fu una Fiat 500 Giardinetta, proprietà di uno zio. Le imponevo certe gimcane... Abitavamo in via Nicolò Bettoli, l'architetto e “designer” di Maria Luigia, forse un segno. Eravamo io e mamma, papà era morto quando avevo 14 anni. Ci trasferimmo in un attico in un palazzone di via Mazzini. Quella era la mia Parma, il centro dove si andava a scuola e si passavano a prendere le ragazze. Avevo frequentato il liceo classico Romagnosi, allora l'optimum, non so ora. Con i miei amici, un gruppetto di 5 o 6, condividevamo l'idea che lo studio fosse cosa necessaria. Trascorrevamo le estati in Appennino, recitando Benedetto Croce come in un gioco di palla che uno tira e l'altro para. Ecco, uno di noi partiva con un brano a mente e agli altri toccava andare avanti. Ricordi bellissimi»
Infatti, dopo una breve parentesi da geologo, ha deciso di convertire in professione la cultura artistica che aveva introiettato, avviando uno studio di grafica...
«Come geologo, trascorsi quattro mesi in Turchia per la Gulf Oil, là dove adesso buttano le bombe, in una città tra il Tigri e l'Eufrate. Ogni giorno dovevo attraversare o l'uno o l'altro fiume con il mio capo, al seguito il camioncino dei viveri. Una vita impossibile. Tornai a Parma, senza saper che fare, mi piaceva tutto e niente. Gli studenti universitari organizzarono il Festival internazionale del teatro e mi chiesero di creare il primo manifesto. Lì scoprii che ero capace di fare il grafico. A Parma non esistevano designer famosi, andai a Milano. E' in quel periodo che fui preso dalla passione per le automobili. Mi comprai la Jaguar che nascondevo, per la vergogna, quando andavo a Fiorenzuola nelle fabbriche di pomodori che sapevo avevano bisogno di etichette. Arrivai a lavorare per i più grandi: a Parma Morris, Scic, Smeg, Camera di Commercio, Cassa di Risparmio. Nel mondo, penso al Neiman Marcus, straordinaria catena della grande distribuzione organizzata del lusso, in America».
La vita da editore e i grandi incontri: uno su tutti lo scrittore e poeta Jorge Luis Borges, di cui si è celebrato il trentennale della morte (Ginevra, 14 giugno 1986). Siete stati anche grandi amici, è così?
«Sono stato sempre un grafico, anche da editore. L'amore per Bodoni mi imponeva di cercare autori importanti, sennò si sarebbe creata una disarmonia tra forma e contenuti. Conobbi Borges nel 1975, si cementò un'amicizia bizzarra con quel signore prossimo agli 80 anni mentre io non ne avevo neanche 40. Borges aveva l'aura del mito, le persone lo volevano toccare, come la Madonna di Fontanellato»
Com'era Borges nel privato?
«Molto tranquillo, pensava in termini letterari. Con lui non potevi parlare di formaggio o di anolini, era evidente che non gli interessava. Neanche la politica gli interessava. Fu accusato di essere fascista e per quello non ebbe il Nobel, una cosa ridicola. Gli interessava la letteratura, quella del Nord Europa in particolare. Una volta mi recitò il “Pater noster” in lingua vichinga»
Quando lo vide per l'ultima volta?
«Tre giorni prima che morisse. Lo andavo a trovare tutte le settimane, a Ginevra. Negli ultimi tempi mi prendeva le mani, me le stringeva forte: “Franco mi devi aiutare, voglio sposare Maria Kodama”, ripeteva. Loro vivevano “more uxorio” da tempo ma Maria, sua studentessa, non lo voleva sposare temendo che l'avrebbero bollata come un'opportunista, un'arrampicatrice. Alla fine si sposarono, per procura. Non avevo conosciuto la prima moglie. Ero invece molto amico della precedente compagna, María Esther Vázquez, anche lei sua studentessa: ci rimase malissimo e se la prese con me. Borges era una calamita. Il problema oggi è che mi manca. All'epoca, se trovavo un'iconografia bella, gli chiedevo un testo e ci potevo fare un libro. Ora sono in difficoltà: Borges, Eco, Calvino, Zavattini non ci sono più e i giovani sono troppo giovani. E' anche cambiata la letteratura, più psicologica, più quotidiana. Allora c'erano autori che sapevano dare la parola all'arte, in modo universale»
Tra gli incontri eccellenti, e sono tanti, non si può dimenticare Jacqueline Kennedy.
«Ci siamo conosciuti alla fine degli anni Sessanta, frequentandoci per un ventennio. Ci aiutò molto organizzando la presentazione del libro “Oratio Dominica” del 1967 a New York. Papa Paolo VI me ne autografò sei copie, era la prima volta che un papa firmava un libro per valore bibliofilo. Regalai una di quelle copie a Jacqueline, che mi invitò a colazione a casa sua. A un certo punto della nostra amicizia mi confessò che avrebbe voluto diventare la direttrice della rivista FMR America. Vidi troppe complicazioni, non accettai. Ne sono pentito: in fondo, se fosse andata bene sarebbe stato merito suo, se fosse andata male sarebbe stata colpa mia»
I giudizi sull'ex first lady non sempre sono lusinghieri...
«Con qualcuno sarà stata una strega, con altri un angelo. Io l'ho sempre considerata molto carina e simpatica. Ripeto, ci ha aiutati molto»
A proposito di signore, c'è Laura Casalis...
«Mia moglie. Ci siamo conosciuti 40 anni fa, su un volo da Milano a Parigi. Nella Ville Lumière non ci siamo mai incontrati. Al ritorno, ci siamo ritrovati a fianco. Mi ha colpito: era carina, vispa, intelligente. La sua abilità è stata lasciarmi sempre uno spiraglio di libertà»
Lei ha contribuito ad associare, nel mondo, l'idea di eleganza a Parma. Come vede oggi la città?
«Parma è una città strana. Faccio un esempio, ho creato un Labirinto dove ogni weekend vengono 1.500 persone da ogni parte d'Italia e del mondo. Abbiamo avuto una pagina intera sulla Frankfurter Allgemeine, qualcosa di più unico che raro. E i parmigiani se ne disinteressano tutto sommato»
Che rapporto ha con la politica?
«Non ho rapporto, nel senso che ritengo che i più la facciano “pro domo sua”. Ho notato una totale assenza delle amministrazioni nei sei anni di lavori per la costruzione del Labirinto. Adesso le istituzioni cominciano a interessarsi, hanno capito che siamo una realtà attrattiva»
Che consiglio darebbe ai parmigiani?
«Non mi sento di dare nessun consiglio. Noto però che ci sono degli imprenditori che hanno iniziato a muoversi. Vedo che è nato il movimento Parma io ci sto!, si è iscritta anche Laura. Per quel che mi concerne, mi sto impegnando per migliorare visivamente il tratto autostradale dell'A1 tra Milano e Bologna. Tutto pianura e fabbriche. Occorre sensibilizzare gli imprenditori per promuovere l'idea del restauro e del verde all'interno delle loro attività industriali. Abbiamo organizzato degli incontri dal titolo Utopia, inaugurati da Brunello Cucinelli»
Un marchio per Parma?
«Quello che ho creato circa un anno fa, su richiesta del sindaco Pizzarotti, riprendendo un mio disegno degli anni Sessanta. Un sole creato da una serie concentrica di scritte Parma».
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