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La Trattoria Belgio, tempio della cucina e della parmigianità

La Trattoria Belgio, tempio  della cucina e della parmigianità

di Lorenzo Sartorio

04 Maggio 2020, 09:47

Il locale di via Garibaldi fu frequentato da cantanti, pittori, viaggiatori e studenti 
 

In questi giorni di restrizioni forzate in casa e di notizie allarmanti, possono accadere fatti ed episodi che vale la pena riportare in quanto equivalgono ad un messaggio di speranza e di amore per la vita anche se sono superati gli «anta». Bruna Bertini vedova Bottiglieri, 95 primavere scoccate ed una lucidità da fare invidia a tanti giovani, ha sentito il bisogno, in questi giorni dove i ricordi, specie per gli anziani, si fa sempre più fatica, di inviare un messaggio al cronista sulla scorta di suoi amarcord familiari. E ne è venuta fuori una piacevole fiaba parmigiana. Aggiungi, la Bruna, ha scoperto il grande Aldo Emanuelli, autore di «Osterie parmigiane», edito dalla Bodoniana nel 1931, prese, come si dice in gergo giornalistico, un sonoro «buco». Per essere più chiari, nel lungo elenco delle osterie citate nel libro, non figura una tra le più antiche della città. Incredibile, quasi uno scoop, scoprire che, dopo quasi 90 anni dalla pubblicazione di un libro, una novantacinquenne parmigiana, abbia notato un'antica falla. Ed in effetti la Bruna ha perfettamente ragione, la famosa «Trattoria Belgio cucina casalinga pronta a tutte le ore» gestita dai suoi genitori e aperta nel periodo della Grande guerra, non è citata nel bel libro dell'Emanuelli. Già, la Trattoria Belgio di strada Garibaldi. Questa è la storia di un locale che fu pensato per ospitare i cantanti lirici, essendo un tiro di schioppo dal Regio, e coloro che arrivavano in treno nella nostra città e che, per raggiungere il centro, erano obbligati a transitare da via Garibaldi e, quindi, attirati dai profumi di cibi buoni, tariffa ingresso nella trattoria di Guido Bertini. Un nome molto europeo, Belgio, che poi cambiò dalle autorità di Adua durante la guerra di Abissinia a causa delle normative contro il nostro Paese. Alla morte della moglie, Guido, si è aiutato, nella gestione del locale, dalla cugina della propria consorte, Gina Invernizzi, bravissima rezdora, nativa di Mamiano, che la gestì fino alla sua morte, all'inizio degli anni Settanta, fatta provare, ai fornelli, di grande bravura con i suoi prelibati e parmigianissimi tortelli d'erbetta, il bollito accompagnato dalla peperonata, la trippa alla pramzana e le delicate scaloppe di vitello. Un buchetto, la trattoria Adua, con, all'interno, tre lunghi tavoli dove gli avventori si sentivano proprio agio fra i quali, nel periodo estivo, i mariti che, rimasti in città, non se la sentivano, o per briga o per viscerale incapacità, di mettersi a cucinare . A proposito di clienti della trattoria, la Bruna ne cita alcuni: un certo Pietro Castagna da Torino che ha offerto una tariffa acquisti da Ninetto Camattini, Mario Finardi, futuro suocero dell'onorevole Andrea Borri, gli avvocati Scaffardi, Costa, Rondani e Isi e tanti studenti universitari di medicina, che si fa notare per la loro squattrinata vivacità. E ancora: il dottor Giacomo Chiesi, il dottor Guareschi, l'omonima farmacia, il commendatore Ravazzoni, il direttore dell'allora Ente provinciale per il turismo. E poi l'attore Annibale Ninchi, la Miss Italia di quei tempi Marcella Mariani, il pittore Madoi, Renato Guttuso, il dottor Salvatore Dell'Abate e, infine, quel monumento alla parmigianità che fu Alberto Montacchini. Una bella pagina di storia parmigiana riportata alla luce grazie ad una delle ultime vestali di quello scrigno di memorie che, ogni giorno che passa, diventa sempre più difficile aprire.
 

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