«Gh’é chì vón chi dìzon ch’ l’é Charlot!». Charlot a Parma…? A volte uno scoop internazionale può nascere da una soffiata in dialetto, e difficile da prendere sul serio, dal telefono di un ristorante amico. Ma poi lo scoop bisogna conquistarselo: il tempo di pregare al telefono «Tenetelo lì, offritegli un digestivo…» e già si deve essere in strada, con la Rolleiflex al collo e con la suola delle scarpe da consumare il più rapidamente possibile nel tragitto dalla redazione di via Casa alla Filoma, fra i dubbi sulla bontà della segnalazione e quello ancor peggiore che la segnalazione sia vera ma che l’ospite se ne vada prima dell’arrivo del fotografo. Per sicurezza, appena dentro al ristorante e prima ancora di approfondire bene, Giovanni Ferraguti scatterà da lontano un paio di foto, perché non si deve mai tornare senza la notizia.
A quel punto, una volta sicuri che almeno una foto c’è, servono sorrisi ed educazione con l’ospite. E allora il risultato sono quelle straordinarie foto che finirono anche all’Associated Press e a Life: Charlot, ovvero Charlie Chaplin insieme alla famiglia, nella nostra Piazza Duomo, rapito dalla bellezza del Battistero e teso ad immortalarla con la sua cinepresa. Foto che prima ancora, naturalmente, ebbero grande spazio sulla «Gazzetta di Parma».
La «Gazzetta», una vita. Se la mostra ci dice che «Parma e la Gazzetta», un capitolo fotografico in bianconero dimostra che per decenni si poteva dire, almeno dal punto di vista delle immagini, che «Ferraguti è la Gazzetta», e nessuna cerimonia poteva iniziare in città se non c’era ancora il suo obiettivo pronto a documentare per i lettori del giorno dopo. E’ simbolicamente commovente che la mostra sia a Palazzo Pigorini, ovvero esattamente di fronte alla casa di via Repubblica 38 nella quale Ferraguti è nato: come dire che, ancora una volta, Giovanni è «sulla notizia».
La notizia è stata per Ferraguti ossessione e passione. E’ stata ed è tuttora. E se per anni avevo solo intuito la sua professionalità, è forse solo oggi che ne scopro davvero il segreto: una curiosità insaziabile e un amore per il mestiere senza tempo. Magari col cruccio che oggi la Rolleiflex e le altre macchine «da accarezzare» abbiano lasciato il posto al telefonino: ma è proprio col cellulare che l’ho visto due anni fa aggirarsi decine di volte nella Piazza su cui era sospeso un globo dorato, fino a quando finalmente ha aggirato Garibaldi e lo ha ritratto, con un gioco di prospettiva, come se l’Eroe dei due mondi reggesse un filo che trasformava quel pesantissimo globo in un fanciullesco palloncino.
Ma torniamo al racconto gazzettiero. «La prima foto? Certo che la ricordo: era il 1965 e Aldo Curti mi mandò in questura dove avevano fermato un profugo ungherese: non voleva rientrare in patria e documentai un volto davvero disperato». La più curiosa? «Quando Giovanna Lanati volle regalare agli anziani del Romanini la sorpresa del circo. Ma c’era brutto tempo, e qualcuno venne in mente di far salire nelle stanze del primo piano un… elefante. Si rischiò il crollo del pavimento, ma fu uno scatto indimenticabile».
Scorre a voce una sequenza di immagini che potrebbe proseguire per ore: da Papa Wojtyla con la bimba parmigiana per mano in Piazza Duomo allo scatto fantastico di De Niro fresco vincitore di Oscar con un pappagallo su una spalla nei giorni del Novecento di Bertolucci, dalla minuta e straordinaria Madre Teresa a Sicuri al Regio con un impermeabile di cellophane trasparente. E, ancora al Regio, la celeberrima sfuriata di Renato Bruson, fotografato «a tradimento» durante una serata non felicissima e subito alla minacciosa rincorsa di Ferraguti sguainando la spada (vera) con cui era andato in scena nel Trovatore… Purtroppo nei ricordi ci sono anche tante foto di momenti tragici: su tutti la terribile disgrazia del Padiglione Cattani al Maggiore. E poi quella - una «Pietà» in bianconero -: la madre di Antonio Turi, il ragazzo di Matera che morì nella Parma cercando generosamente di salvare un pescatore, inginocchiata a deporre un fiore davanti alla lapide dell’allora Ponte Bottego. Una foto straordinaria tecnicamente:
foto straordinaria tecnicamente: Ferraguti ebbe l’istinto di abbassarsi a sua volta, alle spalle della donna inginocchiata, e così l’obiettivo fu al suo stesso livello. Oggi forse la privacy impedirebbe quello scatto, ma nella Parma di allora quell’abbassarsi fu simbolicamente il partecipare della città al dolore e al rispetto per quella generosità di ragazzo a costo della vita.
Ma qual è il segreto per una foto di cronaca? «Prima ancora della foto, occorre cercare di documentarsi su tutto e su tutti: anche un gossip da parrucchiera può darti informazioni preziose. E poi sapersi adattare alle situazioni e mimetizzarsi: se sei al Regio o se sei a una manifestazione ti vesti diversamente, per dare meno nell’occhio. E poi, anche se qualche volta non sembrerebbe, è fondamentale la discrezione».
E’ la confessione, contagiosa, di un eterno innamorato del giornalismo: «Il bello della fotografia è che documenta la storia, rimane scolpita più ancora di un bel racconto. E non puoi barare… O meglio - si corregge sorridendo -, solo qualche volta ho dovuto appiccicare un pallone che mancava nella foto di un gol».
Fotografo, ma poi anche giornalista professionista con uno straordinario senso della cronaca. Quando dice «Gazzetta» si illumina e gli occhi si fanno un po’ lucidi: ricorda con riconoscenza infinita Baldassarre Molossi e Aldo Curti, ma ha parole affettuose anche per l’amico-rivale Romano Rosati, che era invece l’occhio fotografico del concorrente «Resto del Carlino». Sfogliando un libro di vita lungo 35 anni si affollano volti e momenti: la gentile disponibilità del sindaco Grossi o quello scatto tenerissimo a bambini d’asilo che attraversano la strada in fila tenendosi a una corda sotto lo sguardo protettivo di una maestra (foto da premio Agfa). Adora Parma, gli brucia ancora non avere raggiunto Carretta. Ma se gli chiedi qual è la foto che non ha ancora fatto: «Non so cosa darei per fotografare Maria Luigia».
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