Secondo uno dei più autorevoli critici letterari dell'ultimo mezzo secolo, Giovanni Raboni, non sarebbe, addirittura, nemmeno degno della qualifica di scrittore; secondo il più accreditato storico della letteratura italiana, Giulio Ferroni, erede incontrastato di Natalino Sapegno, i suoi romanzi rispecchierebbero «orizzonti ristretti e meschini»; secondo Asor Rosa, Carlo Salinari e Salvatore Guglielmino, nemmeno esisterebbe, vista l'assoluta esclusione dalla loro produzione saggistica. Stiamo però parlando dell'autore di una serie di romanzi che hanno entusiasmato e tuttora entusiasmano milioni di lettori in tutto il mondo: l'estrosissimo Giovannino Guareschi. Come è possibile, si chiede Gabriele Balestrazzi, con scrupolo di cronista di razza, che, tra i grandi letterati, il papà di Don Camillo e Peppone abbia trovato un po' di bonario apprezzamento solo in Geno Pampaloni? Hanno forse pesato pregiudizi politici dovuti al fatto che i detrattori del conservatore Guareschi erano nell'orbita del Pci? «Sulle prime, ho temuto che Guareschi fosse oggetto del difetto tipicamente parmigiano di gloriarsi all'eccesso per qualsiasi cosa - dice Balestrazzi presentando con successo alla Feltrinelli di via Farini il proprio saggio ''Il caso Guareschi - Genio clandestino. Con uno scritto di Enzo Tortora'' edito da Diabasis (82 pagine, 10 euro) -. A Reggio dicono infatti che abbiamo le mille lire più grosse, e credo non sbaglino». Balestrazzi, brillantemente affiancato dal giornalista Maurizio Chierici, da Balestrazzi stesso intervistato nelle pagine introduttive del volume, e dal critico letterario Giuseppe Marchetti, ha però affrontato il caso da un nuovo e originale punto di vista: «Non sono partito da Don Camillo e Peppone, ma dalle toccanti e profondamente umane pagine del ''Diario clandestino'', che Guareschi tenne quando era in campo di concentramento, deportato dai tedeschi perché si era rifiutato di passare alla Repubblica di Salò».
Balestrazzi mette in luce la vibrante e coraggiosa umanità che promana dai brani di questa dolorosa testimonianza: «Andrebbe fatto leggere nelle scuole, perché, sul piano umano e storico, è un libro degno di ''Se questo è un uomo'' di Primo Levi». Marchetti annuisce e spiega che «il fatto di non essere al livello di Pirandello, Gadda e Moravia non toglie a Guareschi il grande merito di essere stato uno scrittore che meglio di tanti altri ha interpretato, con le figure di Don Camillo e Peppone e del Cristo che parla, la pulizia morale e la schiettezza umana dell'Italia del tempo, resa molto bene anche da Fernandel e Gino Cervi nei film tratti dai romanzi».
«Una celebrazione di valori etici legati alla civiltà contadina per la quale - interviene Balestrazzi - non mi sembra improprio accomunare Guareschi a Pasolini, anche se le loro ideologie erano all'opposto: sarà un caso, mi chiedo, che ognuno dei due autori abbia firmato un episodio del film ''La rabbia''?».
L'umorismo è il tratto principale della narrativa guareschiana. «Giovannino era un timido - spiega Chierici -. Affrontava la realtà con ironia in modo da sentirsi comodo: un modo per proteggersi». Il celebre inviato speciale parmigiano, che di Guareschi era molto amico, ricorda: «Ero a San Diego, in California. Proiettavano il Don Camillo in inglese e la gente rideva tantissimo. In sala c'erano molti seminaristi: mi dissero che Guareschi rasserenava il loro animi in caso di contrasti». Un umorismo - ecco infine quanto sembra emergere dall'indagine di Balestrazzi - che, nella resistenza morale testimoniata da Guareschi nel lager, trova basi incrollabili per parlare di un argomento non da poco: l'uomo.
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