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la storia

Da Kiev per curare il suo bimbo A Parma il piccolo Max è guarito

Da Kiev per curare il suo bimbo A Parma il piccolo Max è guarito

di Chiara Cacciani

07 Settembre 2023, 15:59

A Viktoria l’avevano consigliato i medici di Kiev appena scoppiata la guerra: «Scappate, qui rischiamo di non riuscire più a curare il bambino». E lei l'ha fatto: coi suoi 21 anni, il distacco doloroso dal resto della famiglia, uno zaino vuoto quasi di tutto ma non di tre macchinine. E l’amore sterminato per Maxim, il figlio di poco più di due anni a cui era stata diagnosticata mesi prima una leucemia: vitale il bisogno di proseguire la chemioterapia.

«Questa mamma così giovane è stata molto coraggiosa: quando ci ha spiegato la sua storia d’arrivo ci sono venuti i brividi – ricorda Patrizia Bertolini, direttrice dell’Oncoematologia pediatrica del Maggiore - La voce apparentemente tranquilla rispetto a un racconto drammatico, e il bimbo al fianco, allegro e socievole. Alla fine l’unica cosa che ci ha chiesto è: “Adesso posso fermarmi qui o devo cambiare di nuovo ospedale?”».
Nel primo, quello di Kiev, il suo bimbo sempre stretto addosso, aveva continuato a studiare, diplomandosi online dalla stanza del reparto. Era il giorno prima dell’attacco russo; quello successivo erano già in fuga sotto la minaccia delle bombe. La prima tappa in Polonia, che ha subito aperto le frontiere ai profughi e in particolare ai bambini con malattie oncologiche. Poi si è messa in moto un’organizzazione a livello internazionale che ha coinvolto diversi Paesi, Italia compresa. L’Emilia Romagna ha messo a disposizione le sue quattro strutture dedicate e grazie alla collaborazione con la Protezione civile e il volontariato sono arrivati i primi pazienti. «E da noi è giunto Maxim - continua Bertolini - Aveva anche il covid, per qualche giorno è stato in isolamento in Pediatria generale, poi abbiamo fatto il punto della situazione e sono iniziate le cure per la sua leucemia». Affrontate sempre col suo sorriso «e tanta voglia di giocare. I nostri bambini fanno una vita piuttosto ritirata e lui è stato molto felice quando è arrivata una coetanea ucraina nella stessa situazione e che poteva frequentare». O quando Giocamico ha condiviso il tempo bello della fantasia nella casa messa a disposizione da «Noi per loro». Casa e tutto ciò che poteva aiutare a costruirla idealmente, una seconda «casa», «ad esempio la possibilità di stare in compagnia e di imparare l'italiano grazie ad alcune volontarie» spiega la presidente Nella Capretti. Una comunità rodata e appassionata, quella del volontariato che ruota attorno all’Ospedale dei bambini. Per un anno ha cercato di alleviare il peso della lontananza, si è commossa quando il papà di Max è potuto uscire dall’Ucraina con un breve permesso per riabbracciarli. E ha gioito insieme a loro quando è stato finalmente possibile pronunciarla e non solo sperarla, quella parola: guarigione.


Anche lo stupore è arrivato: nel momento in cui hanno deciso che il loro posto era di nuovo e subito Kiev. «Una lezione di vita. Nonostante la paura della guerra, desideravano ritornare dalla famiglia e dalle amicizie. Quando sono arrivati al confine tra Polonia e Ucraina ci è arrivato un messaggio della mamma: “Maxim è molto felice», raccontano con affetto e emozione sia Capretti, sia Silvia Bisaschi, con cui è nato un legame profondo proprio grazie al volontariato in «Noi per loro»: «Mia figlia Chiara ha fatto da interprete con l’inglese al loro arrivo, è rimasta molto colpita e ha voluto che li conoscessi. È una storia molto struggente: la malattia, la guerra, un posto sconosciuto, un ospedale sconosciuto, una lingua sconosciuta. E mai un lamento, solo una gratitudine sconfinata». Hanno voluto fargli capire «che anche qui avevano una famiglia su cui contare: le portavo qualcosa che avevo cucinato, le ciliegie che Max adora, la invitavo da noi, a fare un giro in collina. Ci hanno insegnato il coraggio, la forza e la speranza, e che si può avere voglia di sorridere e di ridere nonostante tutte le difficoltà».

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