IL CASO
La Corte europea dei diritti umani ha dichiarato inammissibile il ricorso di un detenuto che ha sostenuto che le autorità italiane hanno violato i suoi diritti perché il suo stato di salute e la sua disabilità, in particolare la sua cecità totale, sono incompatibili con la detenzione, e non sono state prese misure adeguate a proteggerlo dal rischio di contrarre il Covid.
L’uomo ha presentato il ricorso il 17 aprile 2020 mentre era detenuto nel carcere di Parma e qualche giorno dopo ha chiesto alla Corte di Strasburgo di ordinare alle autorità nazionali di sostituire la sua detenzione in carcere con una misura alternativa. La richiesta è stata rifiutata e ora i togati affermano che, date tutte le informazioni fornite da Roma, e il fatto che l’uomo non è stato in grado di confutarle, il suo ricorso è inammissibile.
Nella decisione la Corte evidenzia in particolare che «il ricorrente non ha lamentato né un’assistenza medica inadeguata per i suoi problemi di salute, né un’assistenza insufficiente per le sue necessità quotidiane». Per quanto riguarda invece le misure prese contro il Covid, la Corte dopo aver esaminato tutte quelle adottate in generale, nel carcere di Parma, e nello specifico per l’uomo, giunge alla conclusione che le autorità «hanno adottato misure sufficienti per proteggere il richiedente dai rischi posti dalla pandemia», e che il detenuto non ha spiegato perché invece ritiene il contrario.
Infine sull'incompatibilità della cecità con la detenzione, i giudici affermano che «le autorità hanno esaminato la situazione specifica del ricorrente e hanno concluso che egli era in grado di muoversi autonomamente nella sua cella e poteva contare sull'assistenza di altri detenuti per le attività fuori dalla cella». La Corte ritiene pertanto che le autorità abbiano preso in considerazione le esigenze specifiche derivanti dalla cecità del ricorrente. (ANSA).
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