Spazio Malerba
«Il mio obiettivo non è solo raccontare una trama, io cerco di narrare il delitto come una fenditura nella crosta della realtà per capire le cause che scatenano il fatto criminoso». Lo scrittore e giornalista Valerio Varesi ha voluto riassumere così il suo approccio al genere Giallo. Un approccio attraverso il quale, sulla scia di autori come Sciascia, Simenon e Izzo, la trama diventa un espediente per analizzare e spiegare i meccanismi che animano la società.
«Vuoti di memoria»
Varesi lo ha raccontato in occasione della presentazione del suo ultimo libro «Vuoti di memoria – Un’indagine del commissario Soneri» che si è tenuto nei giorni scorsi allo Spazio Malerba. Il romanzo racconta la storia di un possibile testimone di un omicidio che però è affetto da amnesia e non ricorda nulla dell’accaduto. Sul palco, assieme a Varesi, era presente il giornalista della Gazzetta di Parma, Filiberto Molossi, che ha intervistato lo scrittore. L’appuntamento è stato organizzato dall’assessorato alla Cultura del Comune di Parma insieme alla biblioteca Luigi Malerba. Ad aprire l’incontro è stata Caterina Bonetti, assessore ai Servizi educativi e transizione digitale. «Momenti come questo sono occasioni di grande soddisfazione – ha sottolineato - perché permettono di portare la cultura fuori dai luoghi canonici, per farla arrivare nei quartieri».
«Perché scrivere un giallo sulla memoria?» ha esordito Molossi. «Mi è capitato, un giorno, con un mio amico di commentare un fatto a cui avevamo assistito e ci siamo resi conto di raccontare due cose abbastanza diverse. Mi sono chiesto allora quanto la memoria manipoli i nostri ricordi e cosa può provocare la memoria applicata a un’indagine».
Intelligenza artificiale
Al tema della memoria umana il romanzo affianca quello della memoria artificiale. «Nel libro cerco di mettere a confronto la memoria umana, filtrata dai ricordi e dalla sensibilità, e la memoria più oggettiva del computer, con tutti i suoi limiti.
Da una parte il digitale può aiutare nelle indagini a velocizzare processi che richiederebbero anni, dall’altra, però, l’esperienza mediata è sempre diversa da quella reale e occorre tenere a mente la differenza».
«Hai qualche regola che ti autoimponi come scrittore?» ha chiesto Molossi. «Sono del parere, come disse Moravia, che lo scrittore debba timbrare il cartellino. Tutti i giorni mi impongo di scrivere qualcosa. Io - chiosa Varesi - non credo all’ispirazione, la cosa che cambia è soltanto che ci sono giorni in cui scrivi più facilmente di altri».
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