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TOP IMPRESE - L'analisi del giornalista: «Il protezionsimo? Gli Usa restano il mercato più aperto del mondo»

Federico Rampini «Tavolo con Trump sui rischi dei dazi»

Federico Rampini «Tavolo con Trump sui rischi dei dazi»

di Pierluigi Dallapina

06 Dicembre 2024, 16:34

Cina, Italia, Germania, Francia, Ucraina, Medio Oriente, Arabia Saudita e America, tanta, tantissima America perché è lì che vive da «un quarto di secolo», come ama ripetere durante il suo intervento, e perché forse è il Paese che conosce più da vicino, di cui ha imparato a riconoscere i vizi e ad apprezzare le tante virtù. Virtù a stelle e strisce che l'elezione di Donald Trump alla Casa Bianca non offuscherà, parola di Federico Rampini. Una rielezione, per la precisione, vissuta malissimo in una larga fetta dell'Europa occidentale a causa di quelli che lui, firma del Corriere della Sera e scrittore, giudica «media faziosi».
I dazi: questo è lo spauracchio che agitano i detrattori di Donald Trump. Dazi che affosserebbero l'economia europea, italiana e locale, vista la sua propensione all'export. Eppure Rampini - durante la sua «lezione» al Green Life Crédit Agricole in occasione della presentazione di «Top imprese Parma» - non è così pessimista. «Quando Trump ha messo i dazi nel 2018, la maggioranza degli economisti ha parlato di inizio dell'apocalisse. Così non è stato». Speriamo che sia così anche durante il suo secondo mandato.
Ma la speranza non basta, soprattutto in economia. Ecco allora alcune possibili soluzioni per affrontare un'eventuale nuova ondata protezionistica Made in Usa. «Compriamo americano», dice citando Christine Lagarde, presidente della Bce. Oppure seguire il modello Barilla. «Trump non imporrà dazi alla Barilla, perché è andata a produrre direttamente negli Stati Uniti».


Media catastrofisti
Ma perché Trump è così temuto? «Perché non esiste più la mitica informazione indipendente. New York Times e Cnn sono media decisamente schierati da una parte politica. Sono faziosi. L'elezione del 5 novembre è stata segnata da una débâcle di quei media, di quei sondaggisti e di quegli esperti che favoleggiavano un pareggio inesistente». E lo dice uno che ha votato per Kamala Harris.
Elon Musk, come inquadrarlo? «Musk ora è il demonio, ma non lo era quando finanziava le campagne elettorali di Obama e di Hillary Clinton. Di sicuro è un genio del nostro tempo e ha superato Steve Jobs. Siamo nella sfera di Thomas Edison».
Chi ha invece centrato il pronostico? «I mercati ci hanno azzeccato. Gli investitori scommettevano sulla vittoria di Trump prima, durante e dopo».


Paragone impietoso
Prima di andare al cuore del suo intervento - i dazi, dato che Rampini, ieri pomeriggio, parlava a una platea di imprenditori - il giornalista fa un paragone tra gli Stati Uniti e il resto del mondo. «Negli Usa, 10mila dollari investiti a inizio Duemila, oggi valgono, al netto dell'inflazione, 27mila dollari. Nel resto del mondo ne valgono 16mila. Il divario è impressionante».
Nonostante l'11 Settembre, il crollo di Wall Street nel 2008 e il Covid, «oggi l'economia americana vale il 40% in più rispetto a quella europea. È partita per la stratosfera». E la conferma arriva dal Rapporto Draghi, una delle due fonti - l'altra è «The envy of the world», un'analisi dell'Economist - su cui Rampini basa il suo confronto tra gli Usa, l'Europa e il mondo.
«Un lavoratore del Mississippi, che è il più povero degli Stati americani, guadagna più di un lavoratore tedesco. La Silicon Valley poi pullula di ingegneri e informatici tedeschi. C'è una fuga di cervelli anche dalla Germania».
L'economia a stelle e strisce è cresciuta «anche se il pendolo politico ha oscillato in modo estremo», passando da Bush a Obama, da Trump a Biden. «La performance degli Stati Uniti è stellare». E ancora: «Amazon investe di più in ricerca di tutto il sistema Italia», dice, alludendo agli investimenti sia pubblici che privati, per non parlare delle cifre mostruose che riguarda la capitalizzazione delle sette aziende digitali americane più grandi.
Presidenti, non dittatori
Queste performance «stellari» sono tutte merito del presidente, o dei presidenti Usa? Assolutamente no. «Chi sta alla Casa Bianca non è così importante. L'America, ogni quattro anni, non elegge un dittatore che comanda le sorti dell'economia».
Guardando agli Usa, chi fa impresa può trarre una lezione: «Quello è il Paese più capitalista del mondo, dove la libertà d'impresa è maggiore e dove sicuramente non è il presidente da solo a decidere le sorti dell'economia».


Il caso della Barilla
Rampini non si stanca di ripeterlo: «Nonostante le due ondate di protezionismo, quello americano resta il mercato più aperto del mondo». E c'è chi, nella Food Valley, lo ha capito, ed è la Barilla. «Il protezionismo non è un gioco in cui tutti hanno da perdere. L'America ha da guadagnarci e il motivo per cui la Barilla non è colpita dai dazi è perché produce proprio in America. Il protezionismo americano è quindi orientato a produrre cento, mille diecimila Barilla». Della serie: «Venite a produrre negli Stati Uniti. Create lavoro negli Stati Uniti ed esportate i nostri prodotti».
Paesi nel mirino
Certo, i dazi ci sono ed è inutile negarli. Ma attenzione, il 25% sarà applicato a Canada e Messico «se non collaboreranno al controllo delle frontiere per fermare l'immigrazione clandestina», mentre il 10% aggiuntivo per la Cina è volto a interrompere, ricorda Rampini, «quei componenti chimici diretti ai narcos per produrre il fentanil, che poi viene esportato negli Usa».


«Compriamo americano»
Rampini poi cita la presidente della Bce, Christine Lagarde, che ha dato il suo suggerimento all'Europa per evitare i danni derivanti dal protezionismo: «Compriamo americano». Ma comprare cosa? Energia e armi (e in parte l'aerospaziale), due settori i cui mercati sono centralizzati. «La frase della Lagarde non è uscita per caso, gli europei si stanno preparando. A Bruxelles si sta già preparando un tavolo con Trump, che è un soggetto eminentemente negoziale. Trump vede ogni problema mondiale soprattutto come una forma di un negoziato e bisogna aiutarlo a portare a casa il miglior risultato possibile, limitando i danni per la propria parte». Il messaggio è chiaro.

Rimpatri e inflazione
Avanti tutta con i dazi? Non è detto. La Borsa potrebbe portare Trump a più miti consigli. «Se veramente iniziassero, i rimpatri avranno un effetto sul costo del lavoro. Se viene meno una componente di manodopera, l'effetto sui salari sarà inflazionistico. A questo punto, se Trump dovesse misurare, con il suo indicatore preferito che è l'indice di Borsa, che la Borsa inizia ad essere nervosa sul tema dell'inflazione, allora anche la partita dei dazi lo vedrà più flessibile».
Un'ulteriore precisazione: «Vi ricordo che la prima ondata di dazi nel 2018 conobbe fior di eccezioni ed esenzioni negoziate dalle lobby. Le lobby non sono una parolaccia, in America esistono dall'800. È così che si fa politica in America». E poi un suggerimento al Vecchio continente, per aiutarlo ad avere un ruolo nel futuro: «Quello del lobbismo è un gioco che bisogna saper praticare». L'Italia è avvisata.
I mali della Cina
«La Cina è sempre più la fabbrica del pianeta, ma questo è un elemento di vulnerabilità», assicura Rampini. Perché a forza di produrre, ha bisogno di qualcuno che nel mondo continui a comprare la sua valanga di prodotti. «Ha troppo bisogno dei mercati altrui».
Quest'anno raggiungerà infatti la cifra di mille miliardi di dollari di avanzo commerciale. «Ma questo ne fa un bersaglio del protezionismo altrui».
Rampini poi ricorda: «Nel 2004-2009 il sorpasso della Cina era dato per scontato, ora non sappiamo se ci sarà». Gli Usa restano leader a livello globale. Ma attenzione, «quello fra gli Stati Uniti e la Cina sarà il rapporto che continuerà a caratterizzare il nostro tempo».
Debolezze europee
Nel Vecchio continente non va meglio. «L'Europa attraversa un vuoto di leadership drammatico. In Francia è in crisi la quinta Repubblica. In Germania la crisi non è solo politica, ma di sistema». Il giudizio di Rampini su Olaf Scholz è impietoso.


Il «salvagente»
Dopo lo sforzo del NextGenerationEU, l'Europa potrebbe, anzi, dovrebbe, tornare a investire. Il Piano Draghi, una delle fonti di Rampini, parla di 800 miliardi di Eurobond.
Eppure questo «salvagente» ha molti detrattori, a partire dalla Germania. «È Lindner, liberale, ministro delle Finanze, che si rifiuta di fare eccezione ai limiti costituzionali di deficit». Alcuni, continua, leggendo il Piano «sobbalzano e dicono: questo è il piano scritto da un italiano, perché alla fine sempre di debito pubblico si tratta. Su questo i liberali tedeschi hanno aperto la crisi di Governo».
Questo atteggiamento non esiste negli Usa. «In America non c'è più il partito del rigore. Il debito pubblico americano si avvicina al 100% del Pil, ma gli Usa se lo possono permettere, perché il dollaro è la moneta universale. Il dollaro continueranno ad accettarlo ovunque. Nessuno riuscirà a sostituirlo». Merito anche dello stato di diritto.
E l'Europa? «L'America continua ad aumentare spesa pubblica. L'Europa non ce la fa, non ha il coraggio e forse l'irresponsabilità che dimostrano gli Stati Uniti». Che possono contare su due dati fondamentali: l'autosufficienza energetica e la demografia positiva. «Sulla rigidità di bilancio l'Europa non riesce a competere con un'America diventata la terra della spesa libera, folle, irresponsabile».
Kiev, Kabul e Israele
Dall'economia alla politica estera, guardata sempre con le lenti dell'America. «Trump deve evitare che Kiev diventi la sua Kabul. Non gli conviene che l'Ucraina diventi il suo Afghanistan», dice Rampini, che poi ricorda il buon rapporto fra il neo presidente e Benjamin Netanyahu. Ma attenzione, Trump ha un canale privilegiato anche con il principe saudita bin Salman, «che spinge verso una soluzione più favorevole verso lo Stato palestinese». La guerra finirà? Di sicuro, il mondo sarebbe un posto migliore se si smettesse di sparare.
 

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