PARMA
In cattedrale il vescovo Enrico Solmi ha presieduto questa mattina la messa in occasione della solennità dell'Assunzione.
L'editoriale del vescovo pubblicato oggi sulla Gazzetta
Un grido di pace di fronte alla ferocia umana
Un percorso museale metteva in evidenza, con una terminologia desueta, gli animali più feroci, fino all’ultimo, rappresentato da uno specchio sul quale si rifrangeva il visitatore. Una tragica evidenza: la persona umana, dotata di un patrimonio unico di cangianti possibilità, diventa la «bestia più feroce» se le altera e le abusa nel male. Lo avvertiamo da sempre, ma in questi giorni quest’evidenza è tragica e grida vendetta al cospetto delle coscienze e di Dio che tutte le illumina. La provocazione sanguinosa e omicida, la sproporzionata reazione, le intenzioni di pace falsificate dai droni sulle case, le bombe su ospedali e Chiese, l’occupazione cruenta di terre ricche e i burattinai che le generano, ne sono una tragica dimostrazione. Così il narcisismo al potere e l’assassinio scientemente predisposto, uniti all’affronto irrispettoso e beffardo dei potenti che propongono e cancellano, fanno e disfano, sulle legittime ragioni dei popoli.
Viviamo l’assurdo di una storia che sembra non insegnare nulla – neanche dalle deflagrazioni atomiche! – mentre cesella diritti veri o pretesi in nicchie ristrette, lasciando che le scorribande di missili e droni uccidano.
Si ripropongono le pagine involutive e tragiche da sempre visitate, ora potenziate da strumenti di morte che rischiano di produrre l’ultima guerra sulla terra, non per il fiorire della pace, ma per la mancanza di attori.
Non è fantasia. La storia la supera e traccia la scena, purtroppo veritiera, che ci raggiunge all’ora di pranzo nei telegiornali o al caffè del mattino con il giornale aperto.
Una ragazza aspetta un Bambino, prima che Giuseppe suo sposo viva con Lei, e quel Bambino cresce e Lei lo segue, resistendo sotto la sua croce e tiene insieme gli amici pavidi che lo avevano abbandonato. Prende su di sé il mondo fragile, ancora bagnata dal sangue di suo Figlio e dal ricordo della carezza della sua mano ancora molle e tiepida, che l’angelo le dona, prima del temporaneo rigore della morte. Noi la celebriamo, questa Donna, forare i cieli e salire in corpo e anima da suo Figlio, segnando la traiettoria della Pace, laddove gli uomini lanciano la morte.
Nel Ferragosto caldo, non solo un grido, ma una vera e possibile speranza di pace nasce dal cuore delle donne, delle mamme che mai manderebbero i loro figli a massacrarsi. Feconda le coscienze che debbono unirsi in una cultura di pace, non gridata contro, ma sempre con tutti, lievitando una coscienza comune che diventa anche protesta e obiezione ad ogni forma di guerra. E le esigenze di difesa, anche armata, restino residuali in ogni bilancio che deve servire al bene di tutti, non crescano rubando salute e educazione agli anziani e ai piccoli e futuro ai giovani, restino segno – queste armi che vorremmo vedere solo simboliche come le alabarde degli svizzeri – del male che ancora abbiamo dentro e che le richiede più come un monito al peggio, che a un deterrente costoso, pericoloso, ingiusto.
«Si vis pacem para civitatem» scrivemmo un giorno e ora possiamo riscriverlo ancora, anche fisicamente, entrando in Duomo sul “Rotolo della Pace”: il nostro nome – un “io ci sto!” cosciente – un pensiero di pace frutto di una scelta narrata a beneficio di noi e degli altri. Lo scorrere o peregrinare nel nostro Duomo passa alla cappella Bajardi: oltre quattromila nomi di giovani parmigiani, quattromila morti per quell’esito effigiato con la cromia dolce, malinconica, triste quasi delle pareti effigianti il frutto amaro delle guerre: una bara con i resti ignoti di un soldato, mentre bandiere rotte garriscono all’ultimo vento, innalzando lo sguardo a Chi dà pace: il cuore di Cristo traboccante di amore. Unica via per la pace, a tutti offerto nel patrimonio di essere donna e uomo.
In Duomo salendo ancora, lo sguardo passa alla «deposizione» con quello scudo tondo del centurione («parma») che ricorda che, qui e ora, è possibile la pace e se, alziamo lo sguardo alla cupola, ci lasciamo portare in alto verso quanto di vero e buono è in noi e che dall’alto, dove Maria va in anima e corpo, è disceso in noi. In tutti.
Non c’è la necessità di rompere il silenzio, perché il grido è incessante e, con esso, la preghiera che costruisce convinzioni permanenti e educa alla pace, accogliendo, con ascolto grato, l’esortazione e il reiterato saluto di Papa Leone: «Pace a tutti voi», ripetuto da ultimo al milioni di giovani a Tor Vergata. Cento ettari di Pace, un territorio che non vogliamo resti un’enclave.
© Riproduzione riservata
Gazzetta di Parma Srl - P.I. 02361510346 - Codice SDI: M5UXCR1
© Gazzetta di Parma - Riproduzione riservata