Ricerca
Le connessioni cerebrali, ovvero il modo con il quale le varie aree del cervello comunicano tra loro, possono aprire una nuova via nella lotta all’Alzheimer. A proporre questo cambio di prospettiva è lo studio internazionale guidato dall’Italia con l’Università di Padova, al quale ha contribuito anche l’azienda Chiesi Farmaceutici di Parma. Pubblicata sulla rivista Brain, la ricerca evidenzia, infatti, che oltre le placche di amiloide caratteristiche della malattia, anche le connessioni all’interno del cervello possono essere un importante obiettivo terapeutico e soprattutto una chiave per misurare l’efficacia dei farmaci in via di sviluppo.
«La connettività del cervello è un indicatore sensibile e precoce dei cambiamenti legati all’Alzheimer», afferma Lorenzo Pini, che ha guidato i ricercatori. «È un approccio che guarda al cervello come a una rete dinamica di connessioni. Un modello che stiamo applicando anche a ictus e tumori, a dimostrazione - aggiunge Pini - di quanto questo paradigma sia trasversale nel campo della neurologia».
Lo studio dimostra che rafforzare le connessioni cerebrali può aiutare a migliorare il processo per valutare i farmaci, «ma anche aprire la strada a nuove terapie - commenta Maurizio Corbetta, co-autore dello studio - capaci di agire sull'ecosistema cerebrale nel suo insieme». Al centro del lavoro anche la collaborazione tra ricerca e industria, come sottolinea Bruno Imbimbo di Chiesi Farmaceutici, tra gli autori dello studio.
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