salute
RISPONDE Francesco Ceccarelli Direttore della Scuola di specializzazione in ortopedia e traumatologia dell’Ateneo di Parma.
Il dolore agli arti inferiori, e in particolare ai piedi, causano indubbie limitazioni funzionali. L’alluce valgo è tra questi ed è sbagliato relegarlo a problema meramente estetico. «È un disturbo del piede molto comune soprattutto nella popolazione femminile - esordisce Francesco Ceccarelli, professore ordinario e direttore della Scuola di specializzazione in ortopedia e traumatologia del Dipartimento di medicina e chirurgia dell’Università di Parma -. In Italia ne soffre circa il 40% delle donne e nel 75% dei casi riguarda entrambi i piedi».
Ma che cos'è l’alluce valgo? «È una deformità visibile a occhio nudo che coinvolge l’alluce che devia, più o meno marcatamente, verso le altre dita. Oltre al problema estetico, è l’insorgere del dolore e la limitazione funzionale che inducono a consultare l’ortopedico».
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In un piede normale l’alluce risulta modestamente deviato di circa 5-7 gradi, per cui si può parlare della deformità solo quando la deviazione del dito supera quella fisiologica. «Questo generalmente avviene per uno squilibrio funzionale di tutto l’avampiede con una deviazione verso l’interno del primo metatarso, la cui testa finisce per sporgere nella parte interna del piede, formando la cosiddetta “nocetta” o “cipolla”».
A causa di questa deviazione, durante la marcia si determina uno spostamento di carico dell’avampiede sulle dita piccole, che a loro volta possono deformarsi assumendo la deformità di «dito ad artiglio o in griffe».
Le cause? «Sicuramente - dice Ceccarelli - c’è una predisposizione morfologica del piede: ad esempio un primo dito più lungo del secondo. Non si tratta di una patologia ereditaria, ma può essere familiare o congenita. Tra le cause predisponenti l’alluce valgo c’è sicuramente il piede piatto, per questo è molto importante valutare ed eventualmente trattare il piede piatto nei bambini».
E la calzatura? «Può essere una concausa ma non la causa, come spesso viene detto: quando l’alluce devia lateralmente, la “cipolla” diviene sporgente ed entra in conflitto con la calzatura, sfregando contro la scarpa e provocando la borsite, cioè un’infiammazione dei tessuti molli che spesso si possono anche ulcerare».
Ci possono essere anche altri fattori predisponenti e sono forme associate ad artrite reumatoide, forme postraumatiche e forme neurologiche. La forma più frequente però è quella denominata «biomeccanica» che insorge, in piedi piatti non trattati da bambini, soprattutto nelle donne dopo i 50 anni.
«È un problema più frequente nel sesso femminile poiché le donne sono più esposte all’aumento di peso che si verifica in gravidanza o alle modificazioni ormonali della menopausa», chiarisce Ceccarelli.
È vero che se si soffre di alluce valgo a un piede poi anche l’altro sviluppa il disturbo? «Nella maggior parte dei casi e così, soprattutto nella forma biomeccanica, con sintomatologia dolorosa a volte non proporzionale alla gravità della deformità. Le forme monolaterali di solito sono conseguenza di traumi o di paralisi». Esistono quindi numerosi tipi di alluce valgo con caratteristiche a volte molto diverse.
Le terapie? «Inizialmente è consigliato l’uso di calzature comode, ma talvolta si deve operare. A chi non può sottoporsi alla chirurgia, consigliamo l’uso dei plantari che possono stabilizzare la deambulazione e in casi lievi essere sufficienti a dominare il dolore sotto le teste metatarsali. Nelle forme più severe, invece, il plantare finisce per accentuare l’infiammazione e il dolore a livello della protuberanza perché, sottraendo spazio nella scarpa, accentua il conflitto meccanico. Esistono poi dei divaricatori venduti in farmacia, ma non servono. La deformità può essere diversa da caso a caso e la scelta della terapia deve considerare le sue numerose variabili, sia cliniche che radiografiche, oltre alla presenza di malattie intercorrenti (come ad esempio diabete e disturbi vascolari) che possono comunque condizionare la scelta del trattamento».
Alla chirurgia si ricorre solo se la sintomatologia non permette una vita normale. «Le tecniche sono numerosissime e quella da utilizzare deve essere scelta in base a quei fattori che caratterizzano ogni singola deformità. Detto ciò, una volta eseguito l'intervento, la ripresa completa avviene intorno ai tre mesi, dopo aver svolto un’adeguata riabilitazione».
Problema risolto? Non necessariamente, perché possono insorgere, benché raramente, delle recidive. «Come tutti gli interventi chirurgici, anche se in percentuali molto basse, sono possibili insuccessi e complicanze. A mio avviso, però, la vera recidiva si manifesta a distanza di molto tempo, se non si sono riconosciuti e corretti i difetti del piede che abbiamo visto essere i fattori predisponenti lo sviluppo dell’alluce valgo, come il piede piatto».
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