SALUTE E BENESSERE
Sentirsi sfiduciati, non riuscire più a credere nel prossimo: quando la perdita di fiducia dipende da esperienze negative e quando invece è un modo generalizzato di leggere le relazioni? Si può uscirne, per evitare di vivere nel sospetto?
Lo chiediamo ad Alessandro Musetti, psicoanalista della Società psicoanalitica italiana e ricercatore di Psicologia dinamica all'Università di Parma.
Fidarsi di chi? E in che misura?
Non è detto che fidarsi sempre e di tutti sia un bene. Le polarità estreme, come ad esempio gli atteggiamenti assolutistici di fiducia o di sfiducia, possono essere associati a disagio o, talvolta, a una franca psicopatologia. Un senso di sfiducia generalizzato e pervasivo sperimentato da alcuni individui può essere legato a una visione del mondo costellata da profonde angosce di persecuzione. E ci può essere la fiducia cieca e immotivata che talvolta manifestano le vittime di maltrattamento verso i propri carnefici. Non dare più fiducia a qualcuno in seguito a ripetute esperienze negative potrebbe essere un segno di flessibilità psicologica. Altre volte la percezione negativa di un legame affettivo può essere amplificato da fenomeni, più comuni di quanto si creda, come la proiezione sull’altro di un proprio atteggiamento ostile. Le casistiche possono essere molto varie.
Cosa causa una sfiducia «a priori» nell'altro?
La tendenza alla fiducia (o alla sfiducia) è un fenomeno complesso che dipende, tra i vari aspetti, da fattori individuali (ad esempio tratti di personalità), situazionali (i ruoli sociali) e socioculturali (orientamenti individualistici versus collettivistici). Le relazioni primarie con i caregiver hanno un impatto decisivo sullo sviluppo di rappresentazioni stabili – positive o negative – di sé e dell’altro. Ad esempio, gli individui che hanno una storia caratterizzata da rifiuto sistematico nelle relazioni intime sono più propensi a sviluppare un attaccamento insicuro evitante e un senso generale di sfiducia verso gli altri. Gli individui che hanno ricevuto delle cure parentali caratterizzate da incoerenza hanno maggiori probabilità di sviluppare un attaccamento ansioso e una fiducia irrealistica negli altri.
Quando occorre affrontare il problema con uno psicoterapeuta?
Può essere utile un percorso di psicoterapia o di analisi non solo nei casi estremi, ad esempio quello di una diagnosi conclamata, ma se il problema di fiducia comporta un disagio soggettivo. È un tema complesso, dato che gli obiettivi e le motivazioni di una psicoterapia possono essere molto diversi. Ad esempio, il disagio che si può associare a una scarsa fiducia nei rapporti affettivi può manifestarsi, più che con dolore psichico, con un senso di vuoto o di insoddisfazione. In questi casi la psicoterapia serve innanzitutto a imparare a “soffrire il dolore”, cioè a entrare in contatto con i propri vissuti interni anche spiacevoli, per potere riacquistare una fiducia in sé stessi e nelle proprie risorse.
A livello collettivo, cosa provoca la sfiducia?
La sfiducia ha ricadute molto negative non solo per l’individuo che ne è portatore, ma per la società. Cito tra tutti il caso del cospirazionismo perché tutti abbiamo chiaro quanto ha influito sulla campagna vaccinale Covid. I cospirazionisti tendono a mostrare una fiducia cieca verso fonti palesemente inattendibili e una diffidenza generalizzata verso la comunità scientifica. La ricerca psicologica si sta occupando da anni di indagare i fattori associati al cospirazionismo. In un nostro studio recente, in corso di pubblicazione su Scientific Reports, abbiamo rilevato che gli individui che tendono ad aderire alle teorie cospirazioniste non hanno solo un minor grado di istruzione e minori capacità riflessive, ma anche e soprattutto uno stato emotivo caratterizzato da profonde e abituali distorsioni della realtà.
Come riacquistare fiducia nell'altro?
Dipende da qual è il punto di partenza e dalla meta che ci si prefigge: bisogna mettere a fuoco fiducia verso chi, in che misura e in quale contesto. Un percorso psicoanalitico, ad esempio, può essere uno strumento efficace per acquisire innanzitutto una maggiore consapevolezza sul proprio funzionamento intrapsichico e relazionale e di conseguenza per sviluppare o recuperare una fiducia realistica negli altri. Il lavoro analitico passa anche dal legame di fiducia (e inevitabilmente, almeno un po’, anche di sfiducia) nei confronti dell’analista. L’analisi può essere un luogo dove è possibile, in certi casi per la prima volta, parlare in modo diretto e aperto dei propri sentimenti di sfiducia in un clima non giudicante ma comprensivo. Questa può essere un’esperienza profondamente trasformativa.
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