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La musica? Una medicina. Migliora l'umore, è utile a cuore e cervello: ecco i benefici

Effetto Mozart

di Anna Maria Ferrari

02 Giugno 2023, 07:41

La musica come cura: sempre più studi dimostrano che funziona. Ne parliano con Gianfranco Marchesi, specialista in Neurologia, Psichiatria, Fisiatria ortopedica.
Quali sono i benefici per il nostro corpo?
«Tantissimi. La musica è in grado di potenziare le nostre reti neuronali, controllare e abbassare il ritmo cardiaco e la pressione del sangue, ridurre la concentrazione degli ormoni dello stress e i markers di infiammazione ematici, dare sollievo al dolore, aiutare a mitigare le conseguenze di infarto e stress».
Come attiva il nostro cervello??
«La musica è un'attività arcaica e molto resistente rispetto ad altre capacità acquisite più di recente attraverso il linguaggio. Molto importante il fatto che possa conservarsi anche in caso di danni cerebrali: per questo è preziosa per la rieducazione. La musica è associata a un insieme di reti neuronali che riesce a sincronizzare: le regioni cerebrali, sollecitate insieme, rinforzano le proprie connessioni sinaptiche. Grazie al suo impatto sul cervello la pratica della musica può accrescere le risorse neuronali e contribuire a combattere l'invecchiamento cognitivo e i danni del cervello».
Può fare esempi concreti?
«Nei pazienti afasici, le terapie che si avvalgono dell'intonazione melodica contribuiscono a restaurare le competenze linguistiche: ad esempio, questi pazienti arrivano a cantare ciò che non riescono a dire, attivando in modo compensativo l'emisfero destro. Per chi ha subito un ictus con conseguenti difficoltà motorie, imparare a suonare il pianoforte è una strategia terapeutica efficace perché stimola la corteccia uditiva e quella motoria ai fini riorganizzativi-riabilitativi».
La musicoterapia è utile anche nei casi di Alzheimer?
«Sì. Ha un effetto positivo sulle funzioni cognitive - attenzione, memoria, linguaggio - e sulla condizione comportamentale data la relativa persistenza dei centri cerebrali antichi emozionali: ad esempio, al paziente cui piace la musica si possono fare ascoltare melodie per controllare eventuali momenti di agitazione».
Lei ha detto che «per Harvey il cammino è la musica silenziosa del corpo ed è parente del ritmo». Ritmo e azione fisica vanno a braccetto, cioè hanno una risonanza reciproca nel cervello?
«Secondo alcuni ricercatori della Mc Gill University, l'efficacia della musica deriva dal fatto che quando ascoltiamo un motivo vengono coinvolti i centri motori del cervello, cioè corteccia motoria, gangli della base, cervelletto. Così possiamo si attiva la procedura che ci fa organizzare i nostri muscoli per produrre il suono che stiamo ascoltando: battiamo i piedi, tamburelliamo con le dita. Una musica fortemente ritmica - per intenderci, quella per la danza, ad esempio - può migliorare la deambulazione di malati di Parkinson, di sclerosi multipla, di atassia, di spasticità e distonie muscolari, ma può anche prevenire le cadute di adulti anziani, migliorando coordinazione ed equilibrio».
Quali gli effetti sull'umore? E' vero che si parla di “effetto Mozart”?
«Melodie energizzanti in crescendo danno carica, tendono a migliorare l'umore, hanno un effetto dinamizzante opponendosi alla stanchezza, preparano i sistemi motori: questa la ragione per cui questo tipo di musica viene utilizzata tanto nell'attività ginnica. Inoltre la musica può avere effetti calmanti, distensivi, riducendo il cortisolo stressogeno e le catecolamine ematiche, come succede con alcune sonate per piano di Mozart».
È vero che l'ascolto della musica alza la soglia del dolore?
«Sì. Si possono rilassare i pazienti prima e dopo un intervento chirurgico e preparare al parto indolore».
Il ruolo della musica nell'infanzia.
«I bambini fin dalla nascita sono predisposti alla musica, hanno una specie di “orecchio assoluto”, cioè la capacità di riconoscere una singola nota, che poi si perde con l'età, a parte in alcuni grandi musicisti. I bambini di 5 anni possono possono sviluppare l'”orecchio relativo”, che è la capacità di riconoscere l'intervallo tra due note, quindi individuare un brano. Solo verso gli 8 anni i bambini sono in grado di apprendere elementi musicali più sofisticati come l'armonia a possono iniziare a studiare musica. È ampiamente condivisa l'idea che lo studio di uno strumento musicale durante l'infanzia stimoli lo sviluppo cognitivo e psicoaffettivo del bambino anche in attività extramusicali come la lettura e l'apprendimento di una seconda lingua straniera».
Ha effetti benefici anche sui pazienti autistici?
«Sì. Per la sua forza emotiva e il potere empatico-relazionale e di interazione sociale, la musica consente di comunicare anche alle persone che hanno difficoltà negli abituali codici di reazione come nel caso dei soggetti autistici. Serve anche nei casi di dislessia, perché, grazie alla sua dimensione ritmico-temporale, influenza positivamente il deficit fonologico, migliorando lettura e pronuncia».

Anna Maria Ferrari

© Riproduzione riservata

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