Salute
Il 4 settembre 1953, «Science» pubblicò un articolo, scritto in collaborazione da Eugene Aserinsky e da Nathaniel Kleitman, intitolato «Regular occurring periods of eye motility and concomitant phenomena during sleep». Uno studio eccezionale, perché la scoperta della presenza di movimenti oculari rapidi durante il sonno, cioè il sonno REM (che, infatti, significa «rapid eye movements»), permise di riconoscere e differenziare l’architettura notturna del riposo. E, certamente, uno dei suoi aspetti più affascinanti fu la stretta associazione temporale con l’esperienza onirica, poiché la maggior parte delle persone coinvolte negli esperimenti, riferiva di aver sognato al risveglio dal sonno REM (conosciuto anche come «sonno paradossale»).
Per Liborio Parrino, direttore del reparto di Neurologia dell’Azienda ospedaliero-universitaria di Parma, direttore del centro di Medicina del Sonno e della Scuola di specializzazione in Neurologia nell’ateneo della città, quella fu una rivoluzione. «Fino a quel momento, nessuno aveva ancora dato al sonno una sistematizzazione completa: nessuno aveva trascorso tutta la notte a sorvegliare e monitorare l’attività del cervello di una persona che stava dormendo; non c’era nemmeno nessun significato dal punto di vista della ricompensa economica, perché un medico doveva sprecare una notte per esplorare il cervello di una persona che dormiva, senza avere nessuna bussola e alcuna mappa sulla quale fissare alcuni aspetti di normalità o di patologia - spiega lo specialista -. Poi da Kleitman, professore all’università di Chicago, arrivò questo dottorando, Aserinsky, che doveva scrivere una tesi; al primo incontro, tra i due non sembrava ci fosse grande simpatia e Kleitman consigliò al giovane collaboratore di approfondire ciò che succedeva agli occhi durante il sonno, poiché, pochi giorni prima, in treno, aveva notato che una coppia di sposi, che si assopivano continuamente durante il viaggio, avevano aumentato la frequenza dell’ammiccamento delle palpebre. Il maestro, quindi, diede al suo allievo una serie di consigli e Aserinsky iniziò a osservare l’ammiccamento e il movimento degli occhi nei bambini e, siccome questi hanno occhi più sporgenti, si accorse del loro movimento sotto le palpebre. Diventò talmente bravo che riusciva a dire alle madri il momento esatto del risveglio dei piccoli (avendo capito che i movimenti oculari erano più intensi sotto le palpebre e vedendo che duravano circa 20 minuti, al termine dei quali c’era poi il risveglio)».
Lo studio, come specificato da Parrino, proseguì sugli adulti e Aserinsky coinvolse il figlio Armond di 8 anni, facendolo dormire nel suo ambulatorio e applicandogli gli elettrodi vicino agli occhi, per avere conferma di quanto osservato sui bambini.
«All’inizio dell’addormentamento, non accadde nulla, ma i movimenti iniziarono a verificarsi, in maniera intensa, dopo circa un’ora e mezza e in maniera ripetuta - continua Parrino -. Dopo un altro esperimento, riscontrò un’altra associazione strana: al risveglio del figlio, durante questi movimenti, lui disse di stare sognando».
Dopo aver comunicato l’esito delle sue prime osservazioni a Kleitman, il docente confermò la necessità di un altro esperimento, più strutturato, con 20 persone. Le conferme arrivarono.
«Gli studiosi si accorsero che il periodo in cui gli occhi si muovevano in maniera rapida si verificava in modo regolare nel corso della notte, ogni 90 minuti circa - prosegue -. Svegliando i volontari fuori da questo periodo di attività oculare, nel 17% dei casi i soggetti dicevano di stare sognando, ma svegliandoli durante i movimenti oculari rapidi, nel 75% dei casi dicevano di stare sognando. Discrepanza notevole, dal punto di vista statistico, tra la probabilità di trovare un sogno durante il sonno REM, rispetto al cosiddetto non-REM (cioè fuori dalla fase dei movimenti oculari). I dati finirono su Science».
Per Parrino, quella del 4 settembre resta una data storica, perché da allora il sonno umano, e non solo, è stato diviso in REM e non-REM. «Da lì è nata una letteratura e un fermento: tutti dicevano che se Freud avesse potuto conoscere l’esistenza di questi due tipi di sonno nel cuore della notte avrebbe, magari, corretto, perfezionato e implementato la sua teoria sull’interpretazione dei sogni - dice -. Restava il fatto che si potesse sognare anche fuori dal sonno REM, perché i due lo constatarono, però è molto più probabile che si possa avere un’attività onirica intensa e vivida soprattutto quando siamo in questo momento in cui, probabilmente, gli occhi, che viaggiano insieme alle immagini virtuali, si muovono per seguire la trama del sogno che stiamo vivendo».
© Riproduzione riservata
Contenuto sponsorizzato da Media Marketing Italia
Gazzetta di Parma Srl - P.I. 02361510346 - Codice SDI: M5UXCR1
© Gazzetta di Parma - Riproduzione riservata