Inserto stare bene - psicologia
Spesso è difficile confrontarsi con il mondo esterno. Esporsi, mettersi in gioco sapendo che le persone osservano, spesso giudicano, hanno delle aspettative. Fare il passo o ritirarsi?
Non è una decisione semplice soprattutto se si è timidi o introversi, che sono due caratteristiche diverse. Abbiamo chiesto a Gabriele Moi dirigente psicologo psicoterapeuta della Psicologia clinica e di comunità dell'Ausl di Parma, di chiarirci la differenza.
«A volte timidezza e introversione possono essere confuse. In generale possiamo affermare che l’introverso sta bene con sé stesso, ama stare da solo e sceglie attività solitarie per preferenze personali, non per paura degli altri - chiarisce Moi - Diversamente, la persona timida soffre di ansia sociale, ha paura di commettere errori e delle critiche, si inibisce, si sente a disagio e preferisce restare in silenzio; solitamente, le persone timide hanno difficoltà ad incontrare altre persone ed avviare una conversazione con loro, a creare amicizie ed instaurare relazioni affettive. Ulteriore precisazione: introversione e timidezza non sono da confondere con un fenomeno preoccupante ed in crescita, il ritiro sociale, definibile come una manifestazione di sofferenza sempre più diffusa tra gli adolescenti che tendono a ridurre le relazioni amicali e nel tempo anche la frequentazione dei contesti sociali e scolastici per arrivare, talvolta, a rinchiudersi nella loro stanza per non uscirne più».
Quando queste due caratteristiche possono limitare la socialità e diventare ostacolo alla vita quotidiana?
«L’introversione, così come la timidezza, sono aspetti non patologici della personalità e che non necessitano di trattamenti o terapie, mentre la cosiddetta fobia sociale (o ansia sociale) può limitare moltissimo la vita della persona che ne soffre, motivo per cui sono necessari interventi. In età evolutiva, ad esempio, se il bambino o l’adolescente presentano segnali di chiusura, evitamento o rifiuto verso la scuola, le prime cose da approfondire riguardano il contesto scolastico ed il gruppo classe: capire se si sono verificati fenomeni di bullismo o cyberbullismo o episodi percepiti come pericolosi; se si è presentato qualche problema relazionale con insegnanti e/o compagni; se siano presenti difficoltà nell’apprendimento tali da rendere il ragazzo insicuro, ansioso e incapace di fronte a compiti, interrogazioni o richieste di tipo prestazionale. È però opportuno considerare il problema della “paura ad andare a scuola” in un'ottica più complessa e quindi pensare che il malessere potrebbe esser legato anche ad altri fattori non del tutto riconducibili all’ambiente scolastico, come: ansia da separazione dalla propria famiglia, possibili eventi traumatici, difficoltà di socializzazione con i compagni, difficoltà di adattamento ai cambiamenti. Tutti questi fattori bisogna calarli all’interno dello scenario storico attuale caratterizzato da repentini cambiamenti, iperstimolazioni mediatiche e social, fragilità e vulnerabilità sempre più complesse».
La paura di esporsi, negli studenti, può limitare i risultati scolastici. Che cosa possiamo suggerire ai «timidi» e alle loro famiglie?
«Siamo immersi in una società sempre più esigente e performante, la scuola non fa eccezione. Anche in questo caso, come sempre, vanno approfondite le cause che determinano nella persona la paura di esporsi: paura di essere giudicati, timore di non essere all’altezza delle richieste, vergogna, scarsa autostima. Le ragioni alla base di questa condizione possono essere davvero tante. Per affrontare questa difficoltà è opportuno intervenire sia sulle emozioni che sul pensiero. Fondamentale è validare le emozioni di chi sperimenta questa condizione, quindi non negarle, non disconfermarle o minimizzarle, piuttosto accoglierle per poterle identificare e nominare e per poterle padroneggiare; sostituire pensieri positivi a quelli negativi, ad esempio creando una lista delle cose positive che si fanno a scuola. E poco alla volta costruire una rappresentazione mentale della scuola come qualcosa di bello dove potersi sentire valorizzati e premiati. Per fare questo è fondamentale poter contare su un supporto, su un aiuto, sia delle persone appartenenti alla sfera familiare che un sostegno professionale esterno. Per ultimo, ma non per importanza, è essenziale che ci sia una proficua e sincera collaborazione scuola-famiglia», conclude lo psicologo.
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