SALUTE E BENESSERE
Un ruscello che scorre, i profumi di un bosco, un panorama visto dalla vetta di un monte. Immergersi nella natura che la montagna sa regalare, e farlo insieme ad altre persone, una medicina perfetta per sentirsi meglio.
La montagnaterapia è un progetto che sfrutta i benefici dell’escursionismo e delle attività all’aria aperta per superare limiti psichici e fisici. Un'iniziativa che vede Parma tra le più longeve e collaudate realtà della nostra penisola. I professionisti dell’Ausl, insieme ai volontari del Cai, regalano questa esperienza sul nostro appennino da 14 anni.
Per tanti motivi e tanti aspetti la montagnaterapia fa stare bene tutti, da chi soffre di tossicodipendenza a chi è affetto da autismo. «L’esperienza del camminare in montagna può avere una valenza terapeutica-riabilitativa e socio-educativa significativa nell’ambito delle dipendenze patologiche perché incrocia temi, come quelli del corpo, della mente, dello stare al mondo, all’interno dei quali vi sono dimensioni vissute in modo peculiare dai soggetti con problematiche di dipendenza - spiega Patrizia Ceroni, psichiatra e direttrice dell’unità operativa Programmi psicopatologici e governo clinico, collaboratrice del progetto - Il sentiero offre possibilità di riflessione, scelta, trasformazione e cambiamento. Mette in relazione con il proprio corpo, i limiti, le paure, la percezione di noi tra gli altri, lo sguardo degli altri. Parliamo quindi di un’esperienza che consente un potenziamento delle risorse personali, può costituire un importante strumento di trasformazione evolutiva contro vissuti di inadeguatezza, stigmatizzazione e di autoesclusione».
«In montagna siamo esposti di continuo agli stimoli del mondo fuori e dentro di noi. I vissuti e le sensazioni che si provano in montagna sono indissolubilmente legate alla corporeità. L’andare in montagna è sempre un’attività fisica e psichica insieme, camminare in montagna provoca sensazioni fisiche ed emozioni che possono essere vissute come esperienze di integrazione tra corpo e cervello - aggiunge la psichiatra - Sentire il proprio corpo in movimento o che fatica, avvertire le sue reazioni, diventa un potente fattore di riappropriazione del corpo come esperienza soggettiva, in soggetti dove questa esperienza è notevolmente indebolita».
L’organismo, solitamente, viene avvertito dai soggetti con dipendenza come corpo-oggetto, che ha bisogni impellenti da soddisfare, e non come qualcosa di vivo e vissuto, spiegano gli organizzatori del progetto. Le escursioni in compagnia tendono a sovvertire questo dannoso paradigma. Ma anche il concetto di superamento del limite gioca un ruolo decisivo.
«Nel camminare c’è il piacere dell’esplorazione, lo stupore e la meraviglia - sottolinea la Ceroni - È un'esperienza di apertura al mondo e di percezione di sé nel mondo differente. Il corpo viene vissuto anche come inaspettata fucina di benessere e capace di affrontare sfide ritenute fino a quel momento insuperabili».
L’attività in montagna agisce inoltre, spiegano all'Ausl, sulla dimensione interpersonale della socialità, solitamente intaccata nei soggetti con queste problematiche. La socializzazione è agevolata perché in montagna si sta a stretto contatto gli uni con gli altri, camminando insieme, mangiando insieme, e dormendo tutti in rifugio.
«È proprio quando tutto il gruppo si siede la sera al tavolo in rifugio che le persone riescono ad aprirsi di più - dice Ceroni - Avviene in quel momento un profondo scambio tra i presenti, fatto di racconti intimi e di ampie riflessioni. In montagna si fa fatica tutti insieme e si raggiunge in gruppo la tanto agognata meta, dividendo con i compagni di viaggio la stanchezza e la gioia dell’arrivo».
A facilitare socializzazione e condivisione è il contesto: un gruppo di persone in rapporto paritario. Ciascuno mostra i propri limiti e mette in gioco la propria umanità.
Il nostro territorio offre bellissimi scorci, e proprio questi vengono sfruttati, come i percorsi intorno al Lago Santo e al rifugio Mariotti. In alcuni casi il gruppo riesce a spostarsi anche per trasferte più lunghe, ad esempio in Trentino.
«È “Mozzafiato” il nome del gruppo scelto con i ragazzi che partecipano - dice a Gilda Donato, psicologa coinvolta nel lavoro sul gruppo Serdp, Servizi per le dipendenze patologiche - L’intento è anche raccogliere dati che possano essere poi utilizzati per la nostra ricerca scientifica. Sono inoltre tutti i volontari Cai ad aiutarci nella scelta dei percorsi e a monitorare l’aspetto meteorologico».
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