psicologia
Parlare con se stessi nella mente, in una sorta di dialogo interiore, ci accompagna molto più di quanto pensiamo. Di questa abitudine che ognuno di noi, più o meno consapevolmente, mette in atto ogni giorno, parliamo con Irene Voccia, psicologa dell’Unità Operativa Semplice di Psicologia della Salute e di Comunità dell’Azienda Usl di Parma.
«Secondo quanto riportato in letteratura, una persona parla “tra sé e sé” ricorrendo a circa 51.000 parole al giorno. Il dialogo interiore pare occupare almeno un quarto della nostra vita cosciente, in alcuni soggetti addirittura la metà di essa. In particolare, parlare da soli si rivela di grande aiuto nel corso di processi decisionali, aumentando l’autocontrollo e diminuendo il rischio dei comportamenti più impulsivi capaci, spesso, di generare rimorsi o pentimenti. Si rivela utile anche quando ci troviamo nella situazione di svolgere un compito complesso o stressante, aiutandoci a riordinare i pensieri e le azioni che la procedura sulla quale siamo concentrati richiede».
È un buon segno?
«Per quanto, a volte, possa sembrare un comportamento bizzarro, parlare con se stessi è uno strumento utile ed efficace nell’ottenere vantaggi cognitivi, quali migliorare la concentrazione, favorire l’autocontrollo e contribuire ad un migliore processo di decision making».
Quando invece è da considerare un segnale di allarme?
«Quando assume le caratteristiche tipiche di un disturbo ideo-percettivo, ma al di là degli aspetti clinicamente significativi, i quali tendono a presentarsi solo in situazioni francamente patologiche, esso può, talvolta, interferire con il nostro benessere in molteplici frangenti più comuni, per quanto, a volte, molto complessi. Può farsi disturbante, alimentando i nostri timori, confondendoci, generando reazioni non sempre efficaci qualora ci capiti di affrontare transizioni significative, eventi traumatici o momenti relazionali difficili. Può, inoltre, avere effetti negativi sulla nostra autostima quando diventa eccessivamente autosvalutante e/o autocolpevolizzante. Capita, infatti, di parlare negativamente a se stessi, concentrandosi eccessivamente sui propri errori, mettendo in dubbio la fiducia nelle proprie capacità o rivolgendo alla propria persona parole di rabbia ed autocommiserazione, contribuendo a corroborare il nostro senso di inadeguatezza, favorendo il verificarsi di situazioni svantaggiose, di scenari che temiamo, come non raggiungere i nostri obiettivi».
Qual è la funzione psicologica di questo comportamento?
«La nostra voce interiore, accompagnandoci dalla prima infanzia, ci consente di percepire la nostra continuità e di esserne consapevoli, aiutandoci a costruire una narrazione della nostra storia ed a sostenerci nei momenti più complessi. Ha un ruolo cruciale in molteplici funzioni psicologiche: basti pensare all’autoconsapevolezza o alla memoria episodica, ma anche all’autoincoraggiamento ed all’autocontrollo. Ci permette di mettere ordine nella nostra mente, prendendo le distanze dai pensieri più attivanti, consentendoci un’analisi migliore e più razionale della realtà che ci circonda».
Che relazione ha con lo stato d’animo?
«Il dialogo interiore ci aiuta a pianificare, immaginare, prepararci e risolvere problemi. Ci incoraggia, e ci conforta, consentendoci, spesso, di legittimarci, contribuendo a normalizzare e validare le nostre emozioni».
Si presenta in forma di dialogo o monologo?
«Può assumere entrambi tali aspetti formali. Capita, infatti, che si presenti sotto forma di dialogo, soprattutto di fronte alla valutazione di possibilità alternative. Più frequentemente, assume la forma di monologo, talvolta espresso in prima persona, altre volte, in seconda o in terza».
Esiste una relazione tra voce interiore e voce esteriore?
«La relazione riguarda soprattutto l’attivazione delle aree cerebrali coinvolte. Entrambe le voci, infatti, condividono l’attivazione delle aree cerebrali preposte alla produzione del linguaggio, quali l’area di Broca, l’area di Wernicke ed il lobulo parietale inferiore sinistro, tuttavia sono state rilevate differenze nella modalità attraverso la quale i due tipi di voce attivino tali aree. La voce esterna attiva anche le cosiddette aree uditive, contribuendo ad una migliore comprensione, soprattutto nella lettura. La voce interiore, invece, sembra coinvolgere anche aree cerebrali tralasciate dalla voce esterna. In sostanza, si può dire che la relazione tra voce interiore e voce esteriore sia ancora oggi oggetto di studio e dibattito».
Quando sembra che si parli da soli?
«Talvolta le nostre riflessioni interiori possono affiorare e superare la soglia della verbalizzazione, portandoci ad esprimerle “a voce alta”, sorprendendo anche noi stessi. Il dialogo interno affiora in modo spesso automatico, ma possiamo allenarlo per farne uno strumento che, usato consapevolmente, possa essere efficace nell’aiutarci a raggiungere risultati sempre migliori. È il caso del “self-talk”, un dialogo interno allenato a ridurre l’ansia ed aumentare la motivazione, particolarmente utile nel concentrarsi sul proprio obiettivo, rimuovendo le distrazioni e che trova grande applicazione in settori professionali e creativi, ma soprattutto in ambito sportivo».
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