SALUTE
Sentire il proprio bimbo pronunciare le prime parole è un’esperienza fortissima per ogni genitore. Si aspetta quel momento per diversi mesi e spesso ci si confronta con altri mamme e papà per capire quando il loro piccolo ha iniziato a parlare.
Ma normalmente a quanti mesi un bambino dovrebbe pronunciare le prime parole? Come deve evolversi il linguaggio nei piccoli? Ne abbiamo parlato con Lisa Ravazzoni, logopedista del servizio di Neuropsichiatria infanzia e adolescenza del distretto di Parma dell’Ausl.
«La produzione delle prime parole rappresenta per ogni genitore un evento molto atteso e accolto solitamente con grande emozione - dice Lisa Ravazzoni - Quel momento segna il passaggio da una comunicazione fatta prevalentemente di gesti e vocalizzi, all’utilizzo di vere e proprie parole. È però fondamentale una premessa: l’estrema variabilità dello sviluppo del linguaggio in età evolutiva. Ci sono infatti una serie di fasi che si susseguono in un ordine condiviso da tanti bambini, ma non da tutti; è importante non dimenticare che ogni bambino è unico e diverso dagli altri. Ci sono notevoli differenze individuali che riguardano sia i tempi di esordio che le modalità di evoluzione. Tendenzialmente possiamo dire che le prime parole fanno la loro comparsa intorno all’anno di età».
Dalle prime parole al graduale ampliamento del vocabolario, quanto tempo può passare?
«Nella fase iniziale le parole che vengono prodotte dal bambino hanno una struttura molto semplice e si riferiscono a persone/oggetti a lui familiari, oltre che ad azioni che compie abitualmente ogni giorno. Il processo di incremento lessicale è per alcuni bambini talmente rapido che rappresenta quella che viene chiamata “esplosione del vocabolario”, per altri invece l’incremento può essere lento e costante senza una fase di chiara accelerazione. In quest’ultimo caso non significa che il linguaggio non stia procedendo, ma è possibile che il sistema linguistico abbia bisogno di tempo per rielaborare le informazioni a cui il bambino viene esposto».
Come un genitore può aiutare a sviluppare in modo corretto il linguaggio? Parlare con il bimbo non “storpiando ” le parole (come spesso si fa con i più piccoli) è importante?
«L’ambiente famigliare è di fondamentale importanza per stimolare lo sviluppo del linguaggio tramite esperienze quotidiane molto semplici. Le strategie sono diverse, ma una delle più efficaci è quella di dedicare al bambino ogni giorno un momento di gioco utilizzando dei set di giocattoli utili a “simulare” diverse azioni (ad esempio giocare con la fattoria e gli animali, con gli oggetti della cucina o con le bambole), dove l’interazione con l’adulto permetta lo scambio comunicativo, con particolare attenzione alle parole e ai suoni. In quell’occasione l’adulto potrà riformulare le frasi dette dal bambino, ampliandole e fornendo lui stesso il modello corretto, eventualmente ci fossero errori. Questa accortezza è riproponibile per tutte le situazioni di vita quotidiana. È preferibile che l’adulto scandisca le parole in modo chiaro, senza alterarle».
La lettura di libri di racconti al bimbo può aiutare il processo di sviluppo del linguaggio?
«Assolutamente sì. Leggere libri ai bambini rappresenta un utile strumento per stimolare l’apprendimento linguistico sia per ciò che riguarda la produzione che per la comprensione delle parole stesse. Ovviamente tutto ciò che è la relazione con l’adulto e la stimolazione che il genitore può fare, non è sostituibile in alcun modo dagli strumenti digitali. Consiglio sempre infatti ai genitori di limitare il più possibile l’esposizione a smartphone, tablet o computer. Recenti studi hanno dimostrato come questi strumenti possano avere l’effetto di interferire con lo sviluppo linguistico, oltre a determinare difficoltà di concentrazione e autoregolazione emotiva. Per questo motivo è da evitare totalmente l’utilizzo dei dispositivi prima dei due anni di età e va limitato al massimo per un’ora al giorno sotto la supervisione costante di un adulto dai 3 ai 5 anni».
Quali sono i campanelli d’allarme che dovrebbero spingere il genitore a parlare con il medico di difficoltà di linguaggio del bambino?
«Un bambino può essere definito “parlatore tardivo” quando a 24 mesi la dimensione del vocabolario è inferiore a 50 parole e/o se manca una combinazione di più parole in un unico enunciato ai 30 mesi. Questo però non significa che tutti i bambini con queste caratteristiche manifesteranno un disturbo del linguaggio, infatti la maggior parte di loro proseguirà il proprio sviluppo linguistico recuperando autonomamente questo ritardo, riallineandosi così ad una linea evolutiva nella norma. Uno strumento utile all’identificazione del patrimonio lessicale del bambino, può essere la creazione di un “diario del linguaggio” nel quale il genitore annota le parole che il proprio figlio pronuncia (non per forza in modo corretto, anche le parole con semplificazioni nei suoni sono da considerarsi parole che appartengono al vocabolario del bambino), aggiornandolo periodicamente. È necessario inoltre monitorare la corretta comprensione linguistica, verificando che le parole vengano capite dal bambino e anche la presenza di gesti comunicativi, come ad esempio quello di indicazione o di richiesta».
A che età possono essere individuati i problemi di linguaggio e quando si può iniziare a trattarli?
«Come detto prima, lo sviluppo del linguaggio in ogni bambino è estremamente variabile, per questo è importante interfacciarsi con il proprio pediatra di libera scelta e condividere con lui i propri dubbi. Il trattamento logopedico viene consigliato dopo un’attenta valutazione del caso in modo personalizzato, analizzando diverse componenti del sistema linguistico e non solo. Per questo non è possibile individuare un’età univoca in cui il trattamento può essere iniziato, ma saranno gli specialisti, insieme alla loro équipe, a valutare caso per caso».
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