SALUTE
Il paziente segue la terapia alla lettera, rispetta orari e dosaggi, ma qualcosa non va. Il farmaco sembra non funzionare, o peggio: provoca effetti inattesi. Inizia così un labirinto di ipotesi e aggiustamenti di cura, finché il «colpevole» viene scoperto dove nessuno pensava di cercarlo: nel piatto.
Quello che mangiamo o beviamo può cambiare radicalmente il destino di una terapia. «Con il termine interazione farmaco-alimento – spiega Gabriele Costantino, docente di Chimica farmaceutica del Dipartimento di scienze degli alimenti e del farmaco dell'Università di Parma – si intende l’insieme degli effetti che l’assunzione di un alimento può produrre su un farmaco. Di questo fenomeno si è cominciato ad avere consapevolezza relativamente di recente».
Il caso dei denti macchiati
Le prime osservazioni risalgono, infatti, agli anni Cinquanta e Sessanta, quando medici e farmacologi iniziarono a notare reazioni inspiegabili in pazienti che assumevano determinati medicinali insieme a specifici alimenti.
«Limitando il discorso ai farmaci assunti per via orale – prosegue Costantino – l’alimentazione può influenzare l’assorbimento o l’efficacia dei medicinali perché farmaci e alimenti condividono lo stesso percorso all’interno dell’organismo. È lungo questa “strada comune” che possono verificarsi, non sempre ma talvolta, interazioni».
Uno dei casi più emblematici risale agli anni Settanta, con le tetracicline: nei bambini a cui gli antibiotici venivano somministrati insieme al latte, comparivano macchie su denti e unghie. Il calcio, legandosi al principio attivo, ne alterava la funzione.
Reazioni, assorbimento, metabolismo
«I meccanismi principali di interazione sono tre – spiega Costantino – Il primo è la reazione chimica diretta tra una componente del farmaco e una dell’alimento o della bevanda. Il secondo riguarda l’assorbimento: alimento e farmaco possono competere per la stessa “via d’ingresso” nell’organismo. Il terzo interessa il metabolismo, perché dopo l’assorbimento entrambi passano dal fegato, che deve scegliere se processare il farmaco o la sostanza alimentare».
Parkinson e pizza
Fra gli esempi più noti d’interazione c’è la levodopa, utilizzata per il morbo di Parkinson. Alcuni pazienti, assumendola insieme a pasta o prodotti da forno, ne vedevano ridursi o annullarsi l’efficacia. Farmaco e amminoacidi utilizzano infatti la stessa via per raggiungere il cervello e la competizione ne ostacola l’assorbimento.
«Non esistono regole generali per identificare gli alimenti che interferiscono con i farmaci. In linea di massima, più un alimento è naturale e poco processato, minore è la probabilità di interazioni. Una dieta composta da cibi semplici difficilmente provoca effetti indesiderati, salvo eccezioni ben note».
L'età conta
Ci sono però combinazioni da evitare del tutto. Alcuni antidepressivi, per esempio, non vanno mai assunti insieme a vino rosso o formaggi stagionati, un abbinamento che può provocare crisi ipertensive. Anche età e condizioni fisiologiche influenzano l’assorbimento. «L’anziano è più a rischio perché spesso ha difficoltà digestive o un rallentato svuotamento gastrico, condizioni che influenzano l’assorbimento dei farmaci. Nei bambini, invece, il metabolismo è molto attivo: il corpo usa intensamente nutrienti e trasportatori che servono anche ai farmaci e questo può alterare la loro efficacia». Un altro errore comune è credere che tutti i medicinali vadano presi a stomaco pieno. «In realtà – osserva Costantino – come regola generale è preferibile assumerli a stomaco vuoto. In assenza di cibo, lo stomaco e l’intestino non sono impegnati e l’assorbimento del farmaco è più regolare. Ci sono però eccezioni importanti, come gli antinfiammatori, che vanno presi dopo i pasti per evitare irritazioni gastriche».
Cautela con gli integratori
Cautela anche con gli integratori, soprattutto quelli di origine vegetale. «Per quanto riguarda i gastroprotettori e i comuni integratori multivitaminici, in genere non creano interferenze significative. Maggiore cautela va invece riservata agli integratori di origine botanica perché le piante contengono principi attivi con potenziale terapeutico elevato e possono interagire con gli stessi recettori dei farmaci. L’assunzione contemporanea può risultare innocua, inefficace o, in certi casi, pericolosa». Il rischio cresce nei pazienti che assumono più farmaci contemporaneamente. «Oggi la consapevolezza sulle interazioni tra alimenti e farmaci è maggiore rispetto al passato – conclude il docente – ma persistono alcune sottovalutazioni, come l’uso non controllato di integratori o la modifica autonoma dei dosaggi. Anche rompere le compresse è un errore: molti farmaci moderni sono progettati per rilasciare il principio attivo nel tempo o in specifiche parti dell’apparato digerente. Il consiglio principale è sempre quello di seguire il parere del medico o del farmacista».
A Parma, la ricerca su questi temi è di casa grazie al Dipartimento di scienze degli alimenti e del farmaco, nato quasi dieci anni fa e primo in Italia a promuovere un approccio realmente interdisciplinare alla ricerca e alla didattica. Una visione che ha portato al riconoscimento tra i «Dipartimenti di eccellenza» per il quinquennio 2023-2027.

Gabriele Costantino
Docentedi Chimica farmaceutica del Dipartimento di scienze degli alimenti e del farmaco dell'Ateneo di Parma.
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