GAZZETTA UNIVERSITà
La parmigiana Cristina Trenta è da tempo professore ordinario di Diritto pubblico alla Linnéuniversitetet, a Kalmar, una città sul mare Baltico con un passato importante per la storia svedese. Vive a Jönköping, una cittadina in Smaland, nel Sud della Svezia, non troppo distante da Göteborg, col marito Andrea, mentre la figlia Gaia lavora in un'altra città, a circa un'ora di distanza: «Mi occupo specificamente di diritto tributario europeo e internazionale, con un focus particolare all’imposta sul valore aggiunto e all’intersezione tra diritto, nuove tecnologie e intelligenza artificiale - racconta -. Questo percorso di ricerca tra tassazione e il contesto sociale mi ha spinto ad estendere il mio interesse anche alle problematiche legate allo sviluppo sostenibile e alle questioni di genere, settori sempre più connessi al diritto e al progresso sociale, e di cui si discute parecchio qui al Nord. La Svezia ha un lunga storia di attenzione alla parità di genere, alla promozione del ruolo delle donne, e all’integrazione delle prospettive di genere nelle politiche sociali, fiscali, ed educative. È un’attenzione costruita sulla responsabilità personale che inizia sui banchi della scuola primaria e che si riflette anche nella ricerca e nella didattica delle università. Ed è ovviamente un impegno che coinvolge direttamente il settore del diritto, in tutte le sue aree. Linnéuniversitetet è un’università pubblica composta da cinque facoltà, con due sedi principali nelle città di Kalmar, dove lavoro io, e Växjö. È un ateneo relativamente giovane specialmente se comparato a università storiche come quella di Uppsala. Il nome rende omaggio a Carl von Linné, Carolus Linnaeus in latino e Carlo Linneo in italiano, il naturalista e botanico».
Quando si è trasferita?
«Dopo la laurea in giurisprudenza all’Università di Parma, ho prima conseguito un master di specializzazione in diritto tributario e poi un dottorato di ricerca in diritto tributario europeo presso l’Università di Bologna. La mia ricerca era centrata su di una comparazione tra Iva italiana e Iva svedese nei servizi di comunicazione ed in relazione all'Iva europea. Questo mi ha portato a trascorrere periodi di ricerca in Svezia, dove ho avuto l'opportunità ed il privilegio di collaborare con Björn Westberg, un’autorità nel campo dell’Iva in Europa. Nel 2008 il mio lavoro di ricerca ha ricevuto il prestigioso premio «European Tax Law Thesis Award» dalla Commissione Europea e dall'associazione dei Professori di Diritto tributario europeo. Il dottorato ed il premio hanno aperto diverse opportunità: mi sono trasferita in Svezia con la mia famiglia, ho conseguito un secondo dottorato in diritto commerciale presso la Jönköping International Business School, sono passata come docente e poi professore associato all'Università di Örebro, sempre in Svezia, e nel 2023 ho accettato la posizione di professore ordinario presso Linnéuniversitetet».
Il suo lavoro consiste solo nell'insegnamento?
«Il lavoro universitario in Svezia comprende tre impegni fondamentali: la ricerca, l’insegnamento, e la collaborazione con la società civile. Ricerca ed insegnamento sono ovviamente attività distinte, ma sono nella mia realtà professionale strettamente interconnesse. La ricerca entra costantemente nelle aule universitarie, poiché gli sviluppi disciplinari più recenti, le posizioni critiche e i contributi innovativi costituiscono una parte importante di quello che gli studenti apprendono a lezione e nei seminari. Specialmente in quegli ambiti in cui le cose si muovono rapidamente, come quelli di cui mi occupo io, il sapere consolidato perde rapidamente di valore se non è rapportato alla realtà del mondo contemporaneo. Allo stesso tempo, la qualità dell’insegnamento dipende da un costante dialogo con la ricerca, perché è lì che il corpo docente produce o viene a contatto con quegli sviluppi e contributi che poi consentono di mantenere i propri corsi e le proprie lezioni aggiornate. È un continuo processo di arricchimento reciproco di cui beneficiamo tutti, ma specialmente gli studenti che, indipendentemente dal ruolo che assumeranno nella società, principalmente ma non solo giuristi, avvocati, e giudici nel mio caso, contribuiranno a costruire quello che verrà dopo. Il terzo impegno, la collaborazione con la società, è anch’esso legato ai risultati della ricerca e al loro insegnamento. Significa che la conoscenza non deve rimanere confinata alle aule universitarie, ai libri o alle pubblicazioni scientifiche, ma deve aprirsi alla società. Il principio di fondo è che i risultati della ricerca devono essere condivisi affinché la comunità intera possa beneficiarne, garantendo una distribuzione democratica del sapere. Questo richiede due cose: da un lato, che ricercatori e docenti universitari sappiano comunicare ed insegnare in modo chiaro e comprensibile. Collaborare con la società, in questo senso, significa adattare il linguaggio e le conoscenze per renderle comprensibili e utili a persone diverse. Ed è una sfida continua, poiché occorre tradurre la ricerca in un linguaggio accessibile e fruibile, e questo richiede esperienza, esercizio, e pazienza. Dall’altro, comunque legato a questa idea della diffusione democratica del sapere, l’impegno con la società significa anche un colloquio costante con l’industria e le professioni, colloquio che normalmente poi si traduce in opportunità concrete di collaborazione tra università e aziende od organizzazioni attraverso progetti, collaborazioni, o consulenze».
Alle spalle tante pubblicazioni?
«Sopra la sessantina, ma il mio è un campo particolare, nel quale si lavora anche o soprattutto attraverso simposi e monografie. Il che significa che ho anche pubblicato tre libri, sto concludendo un quarto libro che esplora il diritto tributario ed il suo ruolo nel perpetuare, o ridurre, disuguaglianze e discriminazioni, e ho il quinto che mi sta attendendo. Questo quarto libro è un po’ il prodotto di questi ultimi cinque-sei anni di ricerca e, oltre a considerare la prospettiva di genere e femminile, fa il punto su giovani, bambini, e le generazioni future. Le tasse, ci piaccia o meno pagarle, rappresentano un’espressione di democrazia, ma il vuoto di rappresentanza democratica per questi gruppi nel diritto tributario è sconcertante: le donne, sempre sotto rappresentate; i giovani, con una rappresentanza molto inferiore rispetto agli adulti; le generazioni future, senza alcuna voce; e i bambini, ignorati come individui e considerati solo come membri di una famiglia. Il libro cerca di illustrare i problemi che derivano da questa mancata rappresentanza, e di come il diritto tributario, uno degli strumenti più potenti che abbiamo a disposizione per produrre uguaglianza e democrazia per tutti, è di fatto nel migliore dei casi un ostacolo, e spesso uno strumento di disuguaglianza. Il quinto libro che mi attende sarà un lavoro collettaneo sull'Iva europea, che io coordino dirigendo un gruppo di oltre venti autori e ricercatori provenienti da tutta l’Unione. Si tratta di un lavoro complesso, ma è decisamente gratificante vedere come il progetto stia prendendo forma. Dovrei pubblicare il quarto libro all’inizio del 2026 e questo quinto nel 2027».
Quali le sue collaborazioni?
«La mia rete di collaborazioni è piuttosto estesa, non solo in ambito accademico, ma anche a livello istituzionale, ed in particolare con le istituzioni europee. Tra il 2016 e il 2019 ho ricoperto l'incarico di membro del Gruppo di esperti sull'Iva per la Commissione Europea. Tra il 2021 e il 2023, sono stata nominata membro del Gruppo di esperti presso l'Osservatorio dell'Unione Europea sull'Economia delle Piattaforme Online. Nel settembre 2022 sono stata nuovamente nominata come membro del Gruppo di esperti sull'Iva della Commissione Europea. Queste collaborazioni mi consentono di contribuire in modo indipendente al concreto miglioramento della legislazione europea. A livello accademico, esistono diverse reti di collaborazione. C’è una comunità svedese che afferisce al diritto tributario e c’è n’è una legata agli aspetti della trasformazione digitale. C’è una comunità di ricercatori europei e poi ci sono collegamenti con gli Stati Uniti, il Regno Unito, l’Australia. La vita accademica è tutta una rete».
L'università svedese ha metodologie didattiche diverse dagli atenei italiani?
«In Svezia la didattica presta parecchia attenzione alla parte pedagogica nel rapporto tra docente e studente. Parte del percorso svedese verso una cattedra include studi specifici e certificati di pedagogia, e l’acquisizione di un titolo post-dottorato, chiamato «docent», che certifica l’abilità e l’esperienza della persona all’insegnamento. Il docente si rapporta in maniera aperta con il discente, comunicando in modo chiaro e accessibile, e instaurando un rapporto il più possibile basato sull’uguaglianza nel rispetto dei diversi ruoli. I corsi sono valutati dagli studenti ad ogni tornata, e le valutazioni sono prese seriamente. Se gli studenti non comprendono ciò che l'insegnante sta cercando di trasmettere loro, se il formato di lezioni o seminari incontra critiche, all’insegnante è richiesto di riflettere sul proprio metodo didattico, apportando le necessarie modifiche qualora opportune. Per quanto possa essere spiacevole leggere critiche, il sistema funziona e mi ha decisamente aiutato non solo ad interrogarmi su come strutturare le mie lezioni e quali strategie adottare per favorire l'apprendimento dei miei studenti, ma anche ad individuare le parti deboli di una lezione o di un corso e a renderle migliori».
Non ha mai pensato di tornare a Parma?
«Parma è un valore, rappresenta le mie radici e la mia cultura. Mi capita spesso di parlarne con colleghi e amici svedesi, anche se ormai sono parecchi anni che vivo in Svezia, ma non mi riconosco nello stereotipo dell’italiano all’estero che pensa all’Italia con nostalgia. Parlo di Parma e dell’Italia con entusiasmo perché sono parte di me. La distanza geografica, il luogo fisico, hanno poca importanza. E poi il mondo non è mai stato così piccolo come oggi, quando la tecnologia ci permette di sentirci vicini e presenti nonostante le distanze in un modo che sembrava impossibile soltanto venti o trent’anni fa».
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