SPETTACOLI
Samurai, il re di Roma nella serie televisiva «Suburra», è diventato un personaggio iconico, nel suo essere letale e totalmente privo di sentimenti. Il merito va a Francesco Acquaroli, che lo ha interpretato magistralmente, lasciando il suo personalissimo segno. Per l’attore romano, che ha tanti anni di teatro alle spalle, la vera popolarità è arrivata nell’ultimo decennio con il cinema e la televisione, («Rocco Schiavone», «Fargo», «A casa tutti bene», ecc.). Tra un set e l’altro si racconta. Ora è in vacanza, ma tra poco inizieranno nuove riprese. Per lo sguardo severo, la mimica facciale, la voce profonda, ricorda parecchio un parmense doc: il grande Memo Benassi.
Lo sa che mi ricorda Memo Benassi, un nostro concittadino che andrebbe ricordato maggiormente…
«Grazie, è un paragone che mi rende orgoglioso. Sarebbe felice il mio maestro di recitazione Antonio Pierfederici, che mi parlava sempre di Memo Benassi, del suo immenso talento e anche della sua stravaganza. Con lui, litigava spesso. Mi raccontava che, in giovane età, gli avevano affidato il ruolo di un ragazzo che, alla fine della rappresentazione, moriva suicida e Memo l’aveva preso di mira. Lo punzecchiava sempre, chiamandolo Dolores. Certo non aveva un carattere facile, ma è stato uno dei mostri sacri del nostro teatro».
Che legami ha con la nostra città?
«A Parma ho lavorato, diversi anni fa, con la Fondazione Teatro Due e, in particolare, con due bravi registi, oggi purtroppo scomparsi: Cristina Pezzoli e Gigi Dall’Aglio. Sia io che mia moglie (l’attrice Barbara Esposito, ndr) abbiamo tanti amici nella cerchia dello stesso teatro, ad esempio Laura Cleri, Cristina Catellani. Non solo. Parma è la città di Bernardo Bertolucci, regista straordinario, in vita talvolta criticato, come è successo a Paolo Sorrentino. I registi che hanno un grande riscontro all’estero hanno rapporti difficili in Italia. Oggi tutti riconoscono il genio di Bertolucci.»
Il teatro come è entrato nella sua vita?
«Mio padre, avvocato di professione, era un grande appassionato, al punto di dirigere la compagnia teatrale dell’università. C’è un aneddoto testimoniato da una fotografia in bianco e nero: è stato mio padre a far salire per la prima volta sul palcoscenico la allora quindicenne Maria Luisa Ceciarelli, poi diventata la grande Monica Vitti. Suo fratello maggiore, avvocato e amico di mio padre, lo aveva pregato insistentemente di affidarle una particina, perché si era messa in testa di fare l’attrice».
E poi cosa successe?
«Terminato il liceo decisi di fare l’attore con grande dispiacere di mio padre, che sperava portassi avanti l’attività del suo studio professionale. Con la giurisprudenza non ero compatibile, così iniziai a studiare recitazione. Non fu semplice. All’epoca, ventenne, avevo un viso che non funzionava in rapporto alla mia età, pertanto l’audiovisivo non mi considerava. Così iniziai a lavorare in teatro. Sono nato primo attore e non attore giovane e all’inizio è stato difficile inserirsi. Ho recitato per anni piccole parti, che non mi permettevano di emergere».
Poi cosa è cambiato?
«La popolarità è arrivata nel 2010 e 2011 con due lavori: nel film “Diaz” di Daniele Vicari e poi nella serie televisiva “Romanzo criminale”, in cui ho recitato due scene soltanto. Da quel momento è iniziata a cambiare l’attenzione nei miei confronti e così è arrivata la parte in “Suburra” e in altre produzioni importanti».
Che cosa ricorda dell’esperienza negli Stati Uniti nella serie di successo «Fargo»?
«Loro hanno mezzi straordinari che sanno utilizzare in maniera molto accorta. L’organizzazione è perfetta, in sette mesi ho avuto un solo inconveniente, a causa di una nevicata durata più delle previsioni meteo. Ora impazza la polemica sull’uso dell’intelligenza artificiale, ma io credo che non si possa fermare il futuro. Lo spirito di conservazione vincerà anche stavolta».
Come costruisce i suoi personaggi, perlopiù mascalzoni?
«Studio molto, innanzitutto. A chi parla sempre di Stanislavskij dico che non esiste un metodo. Nell’arte vale tutto. Il percorso creativo è sempre individuale, il discorso dei metodi, tanto caro agli americani, è limitato».
Cosa c’è in cantiere?
Sta per uscire su Sky una serie intitolata “Unwanted” e in ottobre, su Rai uno è in programma uno sceneggiato di Marco Pontecorvo sul caso dell’omicidio di Elisa Claps, dove interpreto il padre dell’assassino, un personaggio terribile. Attualmente sto registrando a Napoli una serie per Netfix (“Sara”), tratta dal testo di Maurizio De Giovanni. Inoltre sto lavorando in una co-produzione tedesca, austriaca e italiana sulle azioni terroristiche indipendentiste in Tirolo».
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