×
×
☰ MENU

Musica

The Watch, al Paganini rivivono i Genesis: il «prog» è nell'olimpo dei classici

Come leggere lo straordinario successo della band milanese tributo ai Genesis

Il sold-out dei The Watch al Paganini, segno che il «prog» è nell'olimpo dei classici

Simone Rossetti, leader e voce della band, il timbro è quello di Peter Gabriel.

di Aldo Tagliaferro

03 Febbraio 2024, 22:39

Anno di grazia 2024, è trascorso mezzo secolo dai fasti del prog, l’anima più avventurosa e sperimentale del rock: l’Auditorium Paganini è sold-out dieci giorni prima del concerto di The Watch, tribute band dei Genesis che ripropone per intero due album storici. Non è un dato banale e ci dice almeno tre cose: che il prog, accusato ben presto di barocchismo e magniloquenza fino a essere spazzato via dal punk, è in realtà vivo e vegeto; che il fenomeno delle tribute band apre spazi un tempo impensabili per il repertorio rock; e che a Parma c’è parecchia voglia di rock di qualità.


The Watch, solida band milanese che dal 2001 alterna la propria produzione prog con tributi ai Genesis, ruota intorno al fondatore Simone Rossetti, stesso timbro di Peter Gabriel alla voce ma decisamente minor presenza scenica. Il tour che The Watch sta portando in giro per l’Europa (Uk, Francia, Spagna, Germania: ebbene sì, non ci vanno solo i Måneskin all’estero) ripropone Foxtrot (1972) e Selling England by the Pound (1973): riproduzione fedele, brano per brano (solo la prima facciata di Foxtrot è stata in parte “mischiata”) di due album che segnarono la storia del prog, soprattutto in Italia dove il seguito messianico per i Genesis superava il seguito in patria. E’ un rincorrersi di luci e ombre, di intricati arpeggi acustici costruiti sulle partiture mai banali di un chitarrista sui generis come Steve Hackett («interpretato» - rigorosamente seduto - dal giovanissimo Giorgio Gabriel) e le bordate di organo di Tony Banks (Valerio De Vittorio, una sicurezza alle tastiere). L’apoteosi sono i 22 minuti di Supper’s Ready, fino a quell’Apocalisse in 9/8, sublimazione dei tempi dispari e manifesto dei Genesis capace di suscitare ricordi e smuovere emozioni a una platea stagionata ma vivissima.


Sale di tono la seconda parte: Dancing with the Moonlit Knight, Firth of Fifth e Cinema Show sviluppano al meglio il linguaggio sinfonico dei Genesis per potenza, armonia e intensità. Cresce il drumming di un altro giovanissimo (Francesco Vaccarezza, bravo anche ai cori, più «moderno» di Collins sui tamburi) mentre il collante musicale è il polistrumentista Mattia Rossetti (sì, il figlio del cantante) proprio come lo era ai tempi Mike Rutherford sebbene venisse snobbato dalle riviste musicali in tempi di «guitar heroes» ed ego smisurati. A proposito di ego: ai Watch manca solo la presenza scenica. Gabriel sopperiva alla proverbiale staticità dei Genesis dipingendosi il volto o indossando maschere mentre Rossetti - che suona come da copione anche il flauto traverso - ha i modi affabili e gentili del maître di hotel, ma è molto poco rock. La sua voce arriva però alta e sicura fino al bis di The Knife, primo capolavoro dei Genesis, da Trespass, 1970.


In un’epoca che pensa ormai agli avatar per perpetrare la vita dei gruppi (Abba e Kiss sono già avanti con i lavori) e in giorni nei quali Vasco Rossi è perplesso sull’utilizzo della sua immagine da parte delle cover band, il rock ha ormai la consapevolezza di essere entrato nell’orbita della classicità: ha un repertorio, amato e riconosciuto, che sopravviverà ai suoi autori. Per restare in tema con la magniloquenza del genere, verrebbe da dire che alla fine anche il famigerato prog exegit monumentum...

© Riproduzione riservata

CRONACA DI PARMA

GUSTO

GOSSIP

ANIMALI