Francesco Molinari si confida a una settimana dall'Open d'Italia, in programma a Roma dal 10 al 13 ottobre.
"I cambiamenti più grandi sono stati dopo l’anno scorso. Per i successi che ho ottenuto l’anno scorso ho ottenuto più visibilità, e anche all’inizio di questa stagione, con la vittoria all’Arnold Palmer. Dopo questi mesi c’è stato sicuramente un cambio di visibilità che vuol dire comunque meno tempo per prepararsi e più tempo da dedicare ad altre cose, per cui quella è un po’ la sfida di questa stagione e della stagione a venire.
C’è qualcosa di positivo in tutta questa questione dell’attenzione? Ti toglie tempo, per esempio?
Dipende dalla personalità di ciascuno. Per me, onestamente, di positivo non c’è molto, però sto cercando comunque di abituarmi alle tempistiche nuove e fare del mio meglio per continuare il percorso di miglioramento che ho iniziato qualche anno fa. Quest’anno, poi, ho anche giocato un po’ poco, intanto perché iniziato la stagione tardi. Mi sono ammalato quando avrei dovuto giocare a Los Angeles, non ho giocato Memphis… Per cui l’anno prossimo, probabilmente, qualche torneo in più lo farò.
Ti è cambiata la vita nel gioco, come professionista. È cambiata anche la tua vita personale?
No, no, quello no, perché comunque vivendo in un paese “straniero” (tra virgolette), non vivendo in Italia, cambia. Poi Londra è una città – si è sempre detto – dove ci sono tante cose che succedono, tante persone famose in tutti i vari settori , dallo sport al teatro… No, la vita privata, diciamo, non è cambiata per nulla.
L’anno scorso hai giocato un solo torneo d’autunno, vero?
Sí, l’anno scorso ero stanco, per cui ho cercato di riposare il più possibile e avevo comunque in testa l’obiettivo del Race of Dubai, dove ero primo e volevo cercare di finire la stagione primo. Quest’anno avrei voluto giocare magari anche tre tornei del PGA Tour prima di Natale però, per come ho programmato la stagione quest’anno e per il fatto che l’Open d’Italia è vicino ai tornei in Asia era complicato giocarne tre; volevo giocarne almeno due e alla fine, andando quasi per esclusione, quello a cui era più facile partecipare era questo. E poi comunque è un torneo che ho visto in televisione parecchie volte, ho visto un campo que mi sembrava si potesse adattare bene alle mie caratteristiche e quindi ero anche curioso di venire a Napa, che è un posto dove non sono mai stato in passato.
I Majors – i grandi tornei – sono sempre stati dove meglio hai giocato, più centrato. La stagione scorsa, quella di Washington, sei riuscito a portare quest’intensità a un torneo che non era, diciamo, così importante. Ti chiedo: come fai con un torneo come questo o altri tornei che non sono tra i Majors? ¿Come trasporti lì l’intensità?
Sì, non è facile sicuramente. Una delle cose che sono cambiate per me è il modo in cui partecipo ai tornei del Grand Slam, nel senso che dopo averne vinto uno ovviamente c’è il sogno e l’obiettivo di vincerne ancora altri prendendo coscienza del fatto che posso farlo avendolo già fatto, mentre prima di vincere ci speri, vai ai Majors cercando di giocare bene, ma magari con qualche pressione in meno, com’è normale. Quest’anno sicuramente una delle cose che ho notato è che forse ho sbagliato a giocare quasi sempre la settimana dopo i tornei del Grand Slam. E appunto giocando i tornei del Grand Slam con una certa aspettativa e certe pressioni, poi è naturale che la settimana dopo ci sia comunque un calo di energie e di concentrazione, per cui l’anno prossimo cercherò per quanto possibile di programmarmi magari per giocare di più prima e meno dopo i Majors.
C’è una questione che è quella dell’energia. E tu, poi, sei di quelli che si cimentano sotto pressione tutto l’anno, agli allenamenti, al gioco… Allora, quell’equilibrio non risulta a volte complicato, per esempio a fine stagione?
No, anzi, io penso che il fatto di allenarsi con più intensità e più sotto pressione aiuti poi a mantenere l’attenzione, la concentrazione, più costante da torneo a torneo. Per i motivi che dicevamo prima, l’attenzione quest’anno è stata diversa, aldilà del tempo minore e in generale altri fattori. Secondo me quest’anno, soprattutto nelle settimane dei tornei non del Grand Slam, c’è stata forse un po’ meno d’intensità negli allenamenti, e quello è probabilmente uno dei motivi per cui forse qualche torneo non è andato così bene come speravo. Secondo me, il fatto di allenarsi con intensità e con pressione aiuta solo a mantenere poi la concentrazione nei tornei, non è una cosa negativa.
Se dovessi pensare ai cambiamenti, agli assetti più importanti per questa stagione, cosa credi che bisognerebbe resettare?
Devo dare di più, anche se ci sono più “commitments”, più cose varie da fare con i media, con gli sponsor. Quelle cose non posso controllarle, però forse quest’anno troppe volte ho dato mentalmente troppa attenzione appunto a quelle cose e ho frenato un po’ sugli allenamenti dicendo che bisognava mantenere le energie. Invece forse l’anno prossimo cercherò di spingermi un po’ di più, di allenarmi come mi allenavo l’anno scorso, anche se ci saranno cose da fare con i giornalisti o gli sponsor. Quindi il cambiamento più grande che vorrei cercare di fare è quello: tornare ad allenarmi in campo pratica, in palestra, con l’intensità che avevo l’anno scorso.
In ultimo: i tornei, il calendario del prossimo anno, il calendario per quest’anno. Quali sono i tornei che aspetti con più ansia? Tornerai al Master?
Sí, certo, tornare al Grand Slam in genere, e il Master dopo quest’anno sarà una bella occasione. Tornare e cercare di farlo bene. Poi vediamo, ci sono ovviamente molti fattori, non è facile trovarsi di nuovo a contendere la vittoria quel week end, però sarebbe bello avere di nuovo una chance, un’altra opportunità. In generale, i tornei del Grand Slam. C’è il PGA qui a Harding Park, che è un campo che ho giocato in passato, il Match Play che mi piace molto, e l’U.S. Open a Winged Foot, che non ho mai giocato ma che sono curioso di vedere. E poi ci sono anche le Olimpiadi, ovviamente, che sono un obiettivo – direi – abbastanza importante, specialmente per uno come me che è già avanti con gli anni e avrò quest’occasione e semmai un’altra, però non ci saranno molte Olimpiadi nel mio futuro, per cui sarebbe bello provarci con tutto me stesso.
ROB GOLUP, PREPARATORE FISICO
Ho cominciato a lavorare con Fran nel luglio del 2010 all’Open di Scozia, lo stesso anno che suo fratello vinse a Lock Lomond.
Innanzitutto, la professionalità di Fran e il suo desiderio di migliorare sono sempre andati alla pari con le mie intenzioni, che sono in purità quelle di aiutarlo a migliorare. Ogni anno, da nove anni, ha continuato a migliorare le proprie abilità e la propria capacità nell’ambito dello sviluppo fisico. Lavoriamo in una gamma di certi aspetti dell’allenamento fisico, dalla mobilità alla forza e alla potenza.
Sta diventando sempre più forte sia letteralmente che in quanto alla comprensione circa ciò che debe fare in certe fasi della stagione. Controlliamo molte misure obiettive, profili dello stress, qualità del sonno, forza reattiva, per citarne solo alcune. Ciò contribuisce a sviluppare un panorama sul suo stato fisiologico, il che aiuta a sua volta a prendere decisione circa le fasi di allenamento da intraprendere.
Abbiamo un’ottima dinamica di squadra, dove tutti siamo intenti ad aiutare Fran a ottimizzare le proprie prestazioni e a migliorare sempre, senza egocentrismi, senza cercare colpevoli quando le cose non vanno bene. Tutti impariamo dai nostri errori e andiamo sempre più avanti come squadra. L’importante di questo è che aiuta a navigare attraverso una lunga stagione di gare, viaggi, allenamenti, senza rinunciare ad altri volti della vita. Un aspetto fondamentale della sua preparazione mentale e fisica per la stagione è il miglioramento costante dell’ambiente e della cultura che abbiamo come squadra.
Non si tratta perciò tanto di nuovi assetti, bensì di una crescita continua della cultura vincitrice per creare una base di lavoro nell’aspetto sia mentale che fisico del suo gioco.
PELLO IGUARAN, CADDIE
Il primo anno l’inizio fu conoscere i campi, conoscere Fran come giocatore e il suo carattere e cercare di adattarmi a una forma diversa di gareggiare, più aggressiva ed esigente, nel PGA tour.
Da lì in poi è stato un tirocinio continuo, sulla base di un gran lavoro di squadra, dove ognuno è ben sicuro del ruolo che copre.
Fran è il giocatore, ma è al contempo il responsabile del buon andamento della squadra, dove la sua capacità per prendere decisioni e la fiducia verso gli altri componenti del team è secondo me fondamentale e di un altissimo livello.
Questo ci permette di dare tutti noi stessi e di migliorare sempre.
L’andamento individuale e collettivo della squadra è dove risiede l’equilibrio e dove puoi via via aumentare la propria capacità e fiducia e il proprio contributo al team.
La sinergia con il resto della squadra costruisce man mano dei miglioramenti che a medio e lungo termine saranno più grandi, e questa progressione segnala la differenza.
Per esempio, la differenza più grande dagli inizi a quest’anno è l’esigenza e le aspettative di ogni torneo, a livello professionale ma anche personale.
Quando gareggiamo contro giocatori come Tiger, Koepka, Dustin Jonson, Rory Mcilroy, ecc...
Il pubblico è molto più numeroso e aumentano le aspettative su sè stesso, sulla squadra e sulla gente, e devi adattarti a tutto ciò. Devi quindi accettare queste esigenze e tornare al lavoro e all’atteggiamento che ti hanno condotto fino a quel punto..
È questo che ti fa migliorare continuamente il tuo livello e quello della squadra e ti consente di progredire in gara.
Direi che la mia fede in Fran e nella squadra, la mia passione al momento di lavorare e l’esperienza sul tipo di lavoro che stiamo facendo sono state un po’ il mio contributo.
DENIS PUGH, ALLENATORE DI SWING E TECNICA
Francesco ha sempre colpito la palla con consistenza e all’inizio abbiamo lavorato sull’impostazione del suo swing.
I primi progressi sono arrivati quando abbiamo cominciato a lavorare alcune tecniche che ne miglioravano la potenza per poter fronteggiare i più grandi.
“Sollevare il piede dal freno” significa concentrare tutta l’energia fisica sull’impatto, e avere nel contempo l’abilità di trovare il punto dolce (sweet spot).
Una volta che Francesco è approdato tra i dieci migliori al mondo, la sfida è stata quella di migliorare ciò che già fa meglio.
La mia idea è di migliorare quello che lo ha portato fino a qui.
Francesco ha molta passione, determinazione e voglia di migliorare. Quando non è a quel punto arriva il malumore, anche se non lo dimostra.
DATI INTERESSANTI
Nel 2015, a 32 anni, Francesco Molinari decise di esplorare i propri limiti di disimpegno e vedere fino a dove potesse arrivare. A quel fine, ha costituito un team dedito a impostare un processo esigente di miglioramento costante, ai quali tutti hanno aderito con grande passione e disciplina.
Fran Molinari e la sua squadra mantengono e condividono continui collaudi della propria situazione mentale e fisica, e dei risultati degli allenamenti e delle esercitazioni, come parte del programma di miglioramento, non soltanto degli esiti delle gare, ma anche del proprio disimpegno sotto tutti gli aspetti.
Fran Molinari è il primo italiano a vincere uno dei grandi e il miglior giocatore della storia del golf italiano.
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