Uno spettacolo dentro lo spettacolo, tutto da scoprire: "La fabbriceria dell'opera" è un suggestivo e esclusivo viaggio a puntate che Mara Pedrabissi conduce ogni settimana sulla Gazzetta di Parma dentro i luoghi "segreti" del nostro teatro Regio. Ma cosa c'è dietro le quinte? Più di quanto si possa immaginare perché niente è più vero della finzione del teatro. Ogni puntata è documentata da fotografie inedite e da un glossario
Un'isola popolata da creature dalla sapienti mani veloci, votate all'inclita Dea della Sartoria, per dirla al modo di Omero. E' degno della curiosità di Odisseo quel luogo sospeso tra materia e sogni dove i bozzetti dei costumisti, anche i più arditi, si fanno realtà. Abiti di scena creati con velluti, sete, mussole, tende o vele d'imbarcazioni; elaborati con colate di vernice, plastica riciclata da forchette fuse e vasetti dello yogurt usati; invecchiati, raspati, bitumati: ogni machiavellica idea è lecita per arrivare al risultato.
Un sapere che si tramanda nella sartoria del Regio, divisa tra i locali storici in teatro e l'hangar di strada Santa Margherita, 300 metri quadrati di creatività condivisi con i laboratori di costruzioni e scenografia. Quante le sarte? Dipende: la caposarta Paola Tosi e un organico che si amplia, con contratti a tempo determinato, a seconda delle necessità di produzione.
I costumi di «Macbeth» pensati da Alberto Verso per la regia di Liliana Cavani del 2006 richiedettero il lavoro di una quarantina di persone, ottanta mani a tagliare, cucire, modificare. Lo stesso per gli abiti di scena di Andrea Viotti per «Giovanna D'Arco» con la regia di Gabriele Lavia del 2008 che prevedeva un gruppo di 25 figuranti che cambiasse costume ogni otto minuti! Il più temuto, e per converso più atteso, è Hugo De Ana, d'ingegno ben fornito, talento dell'opera mondiale, che dei suoi lavori segue personalmente tutto, ma proprio tutto, scene, costumi regia.
GAME OF THRONES
I registi d'opera percorrono spesso anche le vie del cinema, in un rincorrersi di suggestioni, il costume teatrale vive la concorrenza delle grandi produzioni su schermo - film o serie - arrivando all'occhio di uno spettatore che ha interiorizzato le immagini di Game of Thrones “et similia”. «Che sia una produzione nostra originale o noleggiata, di ogni costume seguiamo tutto il ciclo, dalla nascita alla “messa a riposo”, fa parte del sapere di questo teatro che altrove si è disperso», racconta Giuseppe Panarello responsabile della sartoria.
DAL FIGURINO
Tutto comincia dal «figurino» del costumista che viene condiviso con la sartoria fino al «prototipo», da cui l'abito vero e proprio. Prima difficoltà: realizzare abiti quando gli artisti ancora non sono presenti. La soluzione è da servizi segreti: la sartoria ha un archivio con le “schede-misura” degli artisti, sono minuziosamente annotati particolari fisici e perfino “difetti” da camuffare con il costume ma... «sono chiusi sotto sette chiavi», taglia corto
Panarello. Seconda difficoltà: se un artista all'ultimo dà forfait? C'è la soluzione: il costume teatrale è realizzato «a quarti», per essere smontato per parti e riadattato alla fisicità del nuovo interprete.
TI FACCIO E TI DISFO!
Come può un costume fresco di sartoria, una calzatura o un accessorio, sembrare vissuto, reduce da una battaglia? E' pane per il reparto tintoria e elaborazione della sartoria. «Per la prossima “Luisa Miller” in San Francesco, il costumista Borovskij ha chiesto l'effetto della “polvere del tempo”», raccontano Francesca Ghinelli e Madrilena Gallo. Piero Tosi usava sotterrare gli abiti con legni, sassi, per estrarli invecchiati ma è un procedimento lungo. «Noi abradiamo con il sale, ottimo corrosivo, compatibile con l'ambiente - spiegano le esperte - Raspiamo con spazzole di metallo o bruciamo con fiamma viva». Attenzione però, occorre dosare con perizia per ottenere l'effetto voluto, sennò sono guai!
Abiti molto pesanti, a volte una decina di chili. Un orgoglio indossarli per uomini e donne. I più vanitosi? «Gli uomini, specie quando indossano giacche militari o spade», la risposta.
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FIGURINO
Disegno del modello d’abito o d’altro capo d’abbigliamento fatto dal costumista. E' chiamato anche «maquette».
RASPARE
Pratica del grattare, dello snervare un tessuto, con grattugia o carta vetrata, al fine di invecchiarlo.
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