"La fabbriceria dell'opera" è un esclusivo viaggio a puntate che Mara Pedrabissi conduce ogni settimana sulla Gazzetta dentro i luoghi "segreti" del nostro Teatro Regio. Cosa c'è dietro le quinte? Più di quanto si possa immaginare perché niente è più vero della finzione del teatro. Ogni puntata è documentata da foto inedite e da un glossario
Potenza della luce. Immaginate una cena romantica sotto delle luci strobostopiche? O di scatenarvi in discoteca... a lume di candela? Nooo! A ciascuno la sua luce, come raccontano gli elettricisti del Teatro Regio: il responsabile Giorgio Valerio, il cabinista Simone Bovis con Paolo Gamper, Angela Maria Termini, Lorenzo Pelagatti, Stefano Porcari, Gianluca Lancia.
L'elettricista per il teatro - o per il cinema - lavora a stretto contatto con il light designer, con il compito di controllare e fare interagire tra di loro tutte le luci dello spettacolo attraverso un computer (la console). Cambia il colore o il fascio luminoso per trasmettere l’enfasi o la tristezza, la gioia o la paura del momento. Può simulare il trascorrere del tempo, passando in pochi istanti da un pomeriggio assolato a una notte buia. «Il compito delle luci è quello di far sembrare vero, credibile, ciò che si vede in scena»: è il primo insegnamento per chi mette piede in teatro. Il regista ha in mente un effetto: per ottenerlo si avvale di uno specialista delle luci che prova e riprova con gli elettricisti. Quando un effetto è raggiunto viene memorizzato in computer (“memoria”) e, durante lo spettacolo, l'elettricista in console (il consolista o cabinista, nel palco di quarto ordine, sopra il Palco reale) dovrà schiacciare un dato tasto in un dato momento. Il “via” gli viene dato dal maestro alle luci (fa parte della schiera dei maestri collaboratori) al suo fianco con leggio e spartito su cui avrà indicato i punti esatti dei cambi luce, proprio come fa il maestro di palcoscenico per l'ingresso degli artisti. Per avere un'idea: mediamente, in un'opera, ci sono 120-130 “memorie”.
A TUTTO LED
Non chiamatela lampadina. Il mondo dell'illuminotecnica teatrale è così vasto che c'è da perdersi. Essenzialmente, i proiettori possono essere “motorizzati” cioè con la testa mobile, ora i più usati, oppure fissi. E' questo il comparto del Regio dove la tecnologia ha portato maggiori innovazioni, dall'introduzione dei fari a testa mobile a fine anni '90. Da una decina d'anni, l'ultima frontiera è il led, con consumi ridotti. I primi erano led RGB (Red, Green, Blue); adesso arrivano ad avere sette tipologie di colori che, incrociati, creano tutta la gamma necessaria. Il led però non ha ancora pareggiato la bellezza delle lampadine a filamento incandescente, capaci di donare una nota calda di “ambra” agli stucchi e agli ori del teatro. Un numero? Le luci di sala del Regio, tutte a filamento, sono 700 tra platea, palchi e astrolampo, il grandioso lampadario centrale.
GELATINE E GOBOS
Un tempo c'erano - e in parte resistono - le gelatine, usate massicciamente finché non sono arrivati i “motorizzati”.
Sono filtri di centinaia di colori, in poliestere ignifugo, e si applicano per modificare la luce proiettata: si cambiano così il colore, le “conversioni” (la temperatura di colore vira verso il bianco-azzurro/freddo o il giallo-arancio/caldo), l'intensità. Lo stesso principio è ora accolto dai fari motorizzati.
I gobos, sono invece “mascherine” in alluminio da collocare davanti al proiettore-sagomatore che ripropone così la figura del disco creando un'illusione: luce che penetra tra le foglie di un bosco o dalle grate di una finestra.
SI FA SERA
Passare da un pomeriggio di sole a una notte fonda? Si fa partendo da filtri (“conversioni”) caldi e ambrati, virando poi sui toni più aranciati del crepuscolo, per terminare con il blu, colore notturno per eccellenza. Semplicemente lavorando sulla posizione delle sorgenti di luce, si può creare uno stato di agitazione, di pace, o un effetto visivo particolare. Ad esempio nell'«Alice» vista a dicembre per «RegioYoung», la protagonista diventa “grande” grazie al cambio di posizione di una luce. Il record di “memorie” per un'opera al Regio resta quello della «Forza del destino» di Verdi con la regia di Stefano Poda, nel 2011: furono utilizzati 450 proiettori per 348 effetti in memoria. Molti registi oggi scelgono scenografie snelle ma ricorrono a un ampio uso di luci: ne è un esempio «I due Foscari» per la regia di Leo Muscato all'ultimo Festival con le luci di Alessandro Verazzi, una vera “griffe” del settore al pari di Guido Levi («Aida», 2005) o Alessandro Carletti («Nabucco», 2019).
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AMERICANA
Traliccio di alluminio su cui vengono appesi i proiettori.
MEMORIA
Nell'illuminotecnica teatrale indica l'effetto di luce desiderato, memorizzato sulla console. In media in un'opera ci sono 130 “memorie”. «Piazzato» è il primo effetto a ogni alzata di sipario.
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