Egidio Bandini
Un anno senza Carlotta Guareschi. Un anno senza la Pasionaria delle tante favole di suo babbo Giovannino. Un anno e sembra ieri, quella domenica mattina quando squillò il cellulare e all’altro capo del filo (una volta si diceva così) una voce amica mi diceva che la Carlotta non c’era più. Eppure un anno è lungo e devo dirlo, per tutti coloro – e sono tanti – che conoscevano bene Carlotta, la nostalgia si è fatta sentire: tutti i giorni, nessuno escluso. Ed è proprio nostalgia, nel senso letterale dell’antica parola greca da cui deriva: dolore del ritorno. Perché siamo rimasti tutti quanti (e siamo anche adesso) ad aspettarla, ad aspettare che la Pasionaria tornasse, mettendo fine a una delle tante burle che quella eterna bambina, simpatica come nessun’altra, riusciva, lei sola, a mettere in scena, con lo stesso umorismo del padre e la stessa intelligentissima innocenza che l’aveva resa protagonista di tanti racconti di famiglia, letti da milioni di persone in tutto il mondo. Quel giorno di un anno fa, davanti alla chiesa di Roncole, nessuno ci credeva che se ne fosse andata davvero. E, alla fine, non se n’è andata: è rimasta con noi grazie alla sua straordinaria famiglia, a cominciare dal fratello Alberto, dai figli Camilla, Elena e Michele, dal marito Giovanni, per finire con i nipoti che adorava. Carlotta, la Pasionaria è ancora qui, con quel suo sorriso irresistibile che ti metteva di buon umore anche nei giorni più bigi, con le sue battute fulminee, capaci di sdrammatizzare qualsiasi situazione, riportando tutto ciò che accadeva nel normale, usuale, innocuo solco della vita di tutti i giorni. Basta leggere una delle favole di Giovannino ed eccola qui, come il babbo la conobbe nel Lager nazisti, dov’era prigioniero: «Mi ricorderò la notte del 30 dicembre del ‘43. […]Mi ricorderò anche la sera del 31 dicembre ‘43: mi arrivò infatti la prima cartolina. E nella prima riga c’erano cinque straordinarie parole: ''Tredici novembre nata signorina Carlotta''. O signorina Carlotta, nata nella prima riga d’una bianca cartolina in franchigia, come un fiorellino rosa in un praticello nevoso; o fiore tardivo sbocciato laggiù nella tiepida estate di San Martino e quassù soltanto nell’ultima gelida giornata dell’anno! O signorina Carlotta: io lo so dove la sciagurata signora che mi rese padre ha pescato quel tuo peregrino nome che sa di Guido Gozzano e di Rivoluzione Francese. Carlotta si chiama la strampalata ragazza attorno a cui si svolge la complicata vicenda dell’ultimo romanzo che io scrissi e che piacque molto a tua madre (Il marito in collegio ndr.). Lo vedi a cosa conducono le cattive letture? E se io avessi chiamato l’eroina della mia storia Crimilde o Zebedea? Che sarebbe stato di te? Mi ricorderò la notte del 30 dicembre ‘43. Nella baracca più alta del campo turchestano, in mezzo alle centomila vecchie parole accatastate sul tavolo dell’ufficio postale, ce n’era una nuova nuova: Carlotta. E questa si rivestì della luce che un faro gettava contro la finestra». Nasce così, nella tristezza di un campo di prigionia, il personaggio della Pasionaria, che allora non era ancora Pasionaria, ma che la sarebbe rimasta per tantissimi anni, pur con il procedere dell’età. Sono sicuro, anzi, sicurissimo, che lassù Carlotta e Giovannino, con l’indispensabile supporto di Ennia-Margherita, stanno vivendo tantissime altre storie, che il babbo scrive sul bianco, infinito foglio delle nuvole: favole che raccontano di una signora con un marito, tre figli e sei nipoti, cresciuta, ma con il cuore intatto della bambina nelle tenerissime foto di famiglia. Favole che tantissimi leggeranno, in Paradiso, come tantissimi qui, sulla terra, hanno letto quelle che Giovannino scrisse sulla carta: «Ci sono delle cose, in questo triste mondo, che pure impostate in modo eccellente, hanno un riprovevole svolgimento, il caso di Carlotta la quale cominciò bene e finì male. Io non posso qui entrare in particolari tecnici: sta di fatto che l’impianto di Carlotta venne fatto a Milano, ma la mattina dopo a causa di una incursione aerea, la fabbrica partì sibilando verso la stazione e la lavorazione proseguì in sede di sfollamento e così Carlotta nacque a Parma. Se Parma fosse una città del Piemonte, o della Basilicata, o della Lombardia, o della Calabria, o della Sicilia, o addirittura della Spagna o del Messico, poco male. Disgraziatamente Parma è una città dell’Emilia. Io sono italo-emiliano, però lo so e quindi mi controllo, ma Carlotta ha soltanto due anni e mezzo e non lo sa di essere emiliana. Una normale bambina di due anni e mezzo — se si trova a poter sfogliare i quattro volumi di una storia del risorgimento come quella dello Spellanzon — è in grado di saper distinguere, tra le 3600 riproduzioni che le passano sotto i piccoli occhi, quelle riguardanti i Savoia, dal Principe Eugenio in poi? Eppure Carlotta ha fatto i baffi col lapis blu esclusivamente agli antenati dei Savoia contenuti nei quattro volumi. […] Carlotta, per la strada, guarda con odio le bambine vestite bene. Le guarda bieca, con i pugni sui fianchi, e a casa, quando io la minaccio di sanzioni, si mette a cantare “Bandiera rossa”. Nessuno ha insegnato queste cose a Carlotta: le sente, le ha respirate con l’aria bassa delle piane d’Emilia. È una comunista storica, anzi, ancora di più; è una comunista geografica». Prodromo migliore non ci poteva essere, per capire quale fosse l’animo, lo spirito, il carattere di quella bambina che milioni di famiglie si sono ritrovata in casa a raccontare storie commoventi e divertenti, ma talmente verosimili da essere «più vere del vero». Storie che conosciamo praticamente a memoria, ma che lungo quest’ultimo anno abbiamo letto e riletto, scoprendo – come accade sempre con i capolavori guareschiani – nuovi risvolti, nuove situazioni, nuovi spunti e così, l’abbiamo rincontrata Carlotta, la Pasionaria, come se fosse passato un minuto e non dodici mesi. L’abbiamo vista bambina, ragazzina, sposa, mamma e nonna, partecipe e spesso artefice di momenti belli, indimenticabili e non solo nei racconti dello «Zibaldino» o del «Corrierino», ma anche nelle giornate trascorse alle Roncole, a parlare degli ultimi ex Internati Militari Italiani rimasti, che trovavano in lei un’appassionata custode delle loro memorie e della loro storia, perché uno di loro era stato il suo papà. Dietro un grande uomo, si sente dire spesso ci debba essere una grande donna: adesso Giovannino Guareschi lassù ne ha addirittura due, di grandi donne. E non proprio dietro di sé, le ha al suo fianco, come in quella visita alla Fiera di Milano, tanti anni fa. «La prima volta che io e Margherita piovemmo a Milano fu di sera e, arrivati in piazza del Duomo, ci sedemmo sul gradino del monumento a guardare le insegne luminose. E la prima che ci sfolgorò davanti agli occhi diceva: ''Calzaturificio di Varese''. […] “Era un’altra Milano, Giovannino, era la prima Milano della nostra vita e ci si sentiva in molti di più essendo soltanto in due, che adesso che siamo in quattro”. Dopo la lubrificazione Reinach vedemmo altre cose, e c’era un albero a gomito per motonave, un enorme monumento d’acciaio. Noi avevamo visto forse un milione di oggetti, ma proprio davanti allo smisurato arnese d’acciaio la Pasionaria si fermò e disse: “Compramelo”. Ci fu da discutere parecchio e riuscii a tacitare la Pasionaria soltanto comprandole un carburatore per moto 125. […] Anche a casa il carburatore continuò a interessare vivamente la Pasionaria, che si appartò per analizzare il meccanismo. Prima di addormentarsi nel letto grande mi chiamò e, con molta discrezione, mi comunicò il risultato delle sue indagini sul carburatore. “Si chiama Giacomo e quando è grande farà il dottore. Non ha più la mamma, e il suo papà è in prigione perché ha rubato un chilo di pane e un etto di salame.” Margherita fu molto colpita dal fatto. “Qui se non si attua la giustizia sociale scoppierà una rivoluzione. Non è giusto che un poveretto debba andare in galera perché ha dovuto rubare per fame un chilo di pane e un po’ di salame.” Ribattei che qui si trattava del padre del carburatore. “Non ha importanza: la fame è uguale per tutti, non possono esistere differenze di classe davanti alla fame.” […] La Pasionaria la guardò con palese disgusto, poi scosse il capo. “È invidiosa perché mi hai comprato Giacomo e a lei niente” sussurrò». Ciao, Carlotta.
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