ELISABETTA POZZI
«Giorgio mi ha fatto capire che cos'è il teatro - dice commossa l'attrice Elisabetta Pozzi -. Da lui ho imparato tutto e la sua perdita per me è un brutto colpo. Avevo 18 anni e lui, di cui sono stata allieva e con il quale ho in seguito lavorato per nove anni, mi ha insegnato che sul palco non si può mentire, non si può fingere; mi ha insegnato a partire da me stessa, a tirare fuori la parte intima di me stessa mettendola nel personaggio, e in questo modo il personaggio ti appartiene profondamente. Giorgio era poi intelligentissimo, e ogni suo giudizio era folgorante. La sua grandezza d'attore era una grandezza da interprete, e non, come da tradizione italiana, da maschera. La sua recitazione aveva qualcosa di internazionale ed era inoltre grande anche come regista, basti pensare alla bellissima ''Vita di George Sand'' per la tv. Infine voglio ricordare il modo sempre festoso e pieno di entusiasmo con il quale si rapportava agli amici.
DARIO FO
«Era un grandissimo attore, veramente enorme. Aveva la sapienza del prendere scena che è una cosa magica». Fo ricorda così Albertazzi, con cui ha lavorato in tv e collaborato a una serie di spettacoli-lezioni sulla storia del teatro in Italia: «Con Albertazzi ci siamo conosciuti in tv e ci siamo presentati così: ''Fondamentalmente anarchico'' ha detto Giorgio e io ''a tutto punto anarchico''. E’ stato questo il nostro primo dialogo. Era il momento in cui la tv per la prima volta decideva di mettere in onda un programma scegliendo un pezzo di teatro. Lui faceva un monologo, io uno dei miei assoli. Poi ci siamo sempre incontrati facendoci grandi feste con la nostalgia di tornare a lavorare insieme. Aveva nella recitazione una sapienza, un fiuto, un’energia in Il regista e amico di una vita ne ricorda spirito e lavoro».
WALTER LE MOLI
«Albertazzi porta via con sé un enorme pezzo di storia del teatro e un pezzo di storia d'italia - dice il regista di Teatro Due Walter Le Moli -. Credo ci fosse una follia nel suo modo di agire. D'altra parte, oltre all'indiscussa tecnica, al carisma e, quando era ancora abbastanza giovane, alla bellezza, c'era nel suo essere attore un'idea legata al flamenco e a Lorca: era l'idea del Duende. La stessa che determinava in lui un grande legame con Parigi, con Sartre, con Paco de Lucìa, pur da differenti posizioni politiche e filosofiche. L'ho conosciuto quando ho messo in scena ''I sequestrati di Altona'' di Sartre, testo che lui aveva interpretato vent'anni prima, e mi aveva profondamente colpito per la lucidità delle sue osservazioni. Ammiravo inoltre il suo sporcarsi le mani con il pubblico, la sua attitudine avignonese a unire teatro colto, di alto livello, e teatro popolare. Giorgio era una miniera di informazioni e sogni, e il suo capolavoro credo sia il modo eccezionale in cui ha formato gli attori, come per esempio, Elisabetta Pozzi».
PAOLA DONATI
«Quando ho conosciuto Giorgio Albertazzi - racconta il direttore di Teatro Due Paola Donati - mi è sembrato un principe rinascimentale: bello, coltissimo, eccentrico, elegante, ironico, contraddittorio, generoso, tagliente, inquieto e pericoloso. A ben pensarci, sono queste le qualità fondanti dei grandi attori. Il mio primo ricordo - poco più che bambina - risale alla fine degli anni ’70, nel Cortile della Pilotta in un Peer Gynt con musiche di Grieg eseguite dall’Orchestra Regionale dell’Emilia - Romagna. Magnifico, un mago della parola, era con Anna Proclemer ed Elisabetta Pozzi giovanissima. Venne con ''Memorie di Adriano'' della Yourcenar al Teatro Farnese ad inaugurare il Teatro Festival Parma 1992, successivamente invitato da noi al Teatro Regio e al Teatro Due. I suoi incontri con gli spettatori diventavano delle vere e proprie esplorazioni di vita teatrale, sorprendenti e inaspettate. L’ho sentito dare di sé una definizione che in pochissimi oggi saprebbero esternare così, senza pudore e senza paura: ''Sono un attore con la coscienza infelice''».
GABRIELE LAVIA
«In qualche modo Albertazzi è stato un campione del teatro - dice l'attore e regista Gabriele Lavia - , di quella forma d’arte eterna: era una persona molto particolare, era quello che si potrebbe dire un vero artista, con tutti i pregi e scontrosità del suo modo d’essere attore».
MAURIZIO SCAPARRO
«Quel che Giorgio è stato per il nostro teatro lo si capirà davvero solo ora, dal vuoto che ha lasciato - dice il regista Maurizio Scaparro -. Parte da lui un discorso sul senso e l’importanza del teatro oggi e di quel che potrà essere in futuro», dice Maurizio Scaparro, amico di una vita di Albertazzi e regista di tanti spettacoli, dal grande goethiano «Il giovane Faust», in cui fu uno straordinario Mefistofele, sino all’ormai classico «Memorie di Adriano». «Con lui i giovani sentivano cosa fosse il teatro, capace di dare emozioni diverse, profonde agli spettatori».R. Sp.
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