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Quando “Qualcuno era comunista”

Quando “Qualcuno era comunista”

di Michele Ceparano

27 Gennaio 2017, 09:57

Il disco della settimana

Giorgio Gaber registrò “Il teatro canzone” nel 1992 a Milano. Venticinque anni dopo lo spettacolo che il cantautore scrisse con l'amico e alter-ego Sandro Luporini non ha perso nulla della sua ironia graffiante e della sua lucidità. “Il teatro canzone” è sì un live che raccoglie canzoni e monologhi dell'artista scomparso il primo gennaio del 2003, ma merita di essere ricordato come uno dei lavori più importanti del Signor G. Intanto, non è un disco “tout court”, ma uno spettacolo. Il teatro canzone è infatti una forma d'arte che il duo Gaber-Luporini aveva lanciato negli anni Settanta e che nel '92 venne appunto riproposto al grande pubblico.
E' un disco da consigliare a un giovane per scoprire un artista veramente poliedrico. Infatti Gaber è stato molto: oltre che cantautore (e poeta), attore, regista teatrale e perfino grande talent scout (lanciò ad esempio Battiato). Fu inoltre capace come pochi di analisi lucide sulla storia e i tic italiani, passando per la sociologia, la filosofia e la politica. Già, la politica. Per Gaber era una passione bruciante che lo portò ad analisi oneste che, ai più militanti, fecero l'effetto di un pugno nello stomaco quando addirittura non suonarono come un tradimento. Erano invece i versi di un uomo profondamente politico, nel senso aristotelico del termine. A tal punto da rifiutare categoricamente i luoghi comuni guardando sempre avanti. A tale scopo va ascoltato (o riascoltato) “Qualcuno era comunista”. Unico inedito de “Il teatro canzone”, è un monologo che ha fatto storia. A tratti anche divertente (Gaber fu anche un comico con la c maiuscola), ma capace di penetrare nel profondo, lirico e allo stesso tempo realista, assolve chi abbracciò questa ideologia onestamente - il militante che “guardava sempre Rai3” - e smaschera le furbizie, le opacità e gli arrivismi che sempre si annidano nelle grandi ideologie.
Scatenò discussioni a non finire, venne amato e odiato con la stessa intensità. Gaber, che ebbe (e non poteva essere altrimenti) sempre un rapporto dialettico al limite del conflitto con la sinistra, di questa riconosceva i meriti ma metteva in luce i demeriti, le manchevolezze e le tante zone d'ombra. Spirito libero e vero libertario, non temeva neppure di esprimersi con parole forti sul concetto di democrazia. Restando sempre fedele a se stesso.
Missione compiuta, comunque. “Il teatro canzone” non è “qualcosa” da ascoltare in poltrona. E' un modo di porsi di fronti agli altri, ai problemi, alla vita. Come faceva Giorgio Garberscik (il suo vero cognome), oppure G.G. o il Signor G., il suo personaggio. Senza fare sconti, neppure a se stesso. Come quando, in altri album, parla degli italiani in “Wittgenstein” o in “Io non mi sento italiano”. Oppure quando frusta i luoghi comuni pre, durante e post sessantotto. O quando, in “C'è solo la strada”, contenuta nell'lp, massacra la vita di coppia.
“Qualcuno era comunista” venne comunque riproposto in un altro lavoro fondamentale che Gaber e Luporini scrissero nel 2001: “La mia generazione ha perso”. Fu un'altra opera che divise, forse un po' meno rispetto ai decenni precedenti, ma che fece comunque rumore. Anche quella volta i due colpirono nel segno. Il Signor G. gettava infatti sempre il sasso nello stagno ma da quello stagno non si allontanava. Rimaneva a dibattere, a ridere di se stesso e dei vizi italiani. Da uomo libero. Chi vorrà scoprire Gaber attraverso questo lavoro e tanti altri della sua sterminata produzione, dovrà però anche mettere in conto una grande amarezza. Capirà infatti quanto oggi manchi alla musica e alla cultura uno come lui.

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