ECONOMIA
Mandare soldi a casa per aiutare la famiglia è la più classica delle motivazioni alla base delle rimesse. Ma in realtà c'è di più. C'è chi spedisce soldi per costruire un'attività economica in patria, per sé o per altri. C'è chi aiuta in senso lato la comunità da cui proviene, in virtù di una visione ampia del concetto di «famiglia». E non di rado anche gli stranieri più integrati continuano a farlo. «Le rimesse servono anche per mantenersi collegati al Paese d'origine. Non si spegne il legame, anche quando la famiglia è ormai qui in Italia. E la comunità se lo aspetta». Lo spiega Andrea Lasagni, docente del Dipartimento di Scienze economiche e aziendali dell'Università di Parma, impegnato tra l'altro nel gruppo di ricerca Grimli (www.grimli.unipr.it).
Studiosi delle Università di Parma, Milano, Trento, Pisa e Firenze hanno collaborato per approfondire il tema delle rimesse dei migranti dal punto di vista sociale, oltre che economico. E nei giorni scorsi il Dipartimento ha ospitato un workshop scientifico nell’ambito di Migrem, un progetto triennale di interesse nazionale finanziato dal ministero, con accademici ed esperti dei cinque Atenei. I risultati: le rimesse degli immigrati sono un fenomeno «multidimensionale».
Il progetto Migrem ha studiato il fenomeno rimesse da prospettive teoriche e pratiche, con uno sguardo che ha evidenziato la caratteristica «variegata» espressa dal semplice gesto di inviare i soldi al Paese di origine da parte degli immigrati in Italia. Gli studiosi coniano l'espressione «economia morale»: l'invio di denaro è associato ad obblighi familiari, a norme sociali, ma anche ad aspettative emotive e collegamenti transnazionali. «Attraverso uno studio sulla diaspora palestinese in Italia - spiegano gli accademici - sono emersi anche altri significati delle rimesse: la resilienza e la voglia di supportare una nazione in guerra. Infine, alcune evidenze mostrano che le rimesse dipendono dalla generazione migratoria e dalla composizione familiare: possono inviare più soldi anche immigrati che sono in Italia da tempo».
Altri interessanti spunti emersi dal progetto Migrem sono legati alle rimesse come strumenti di sviluppo. È stato presentato uno studio innovativo sulle rimesse con finalità imprenditoriali: l'invio di denaro per fare business nel Paese di origine. È più probabile che investano in progetti imprenditoriali in patria gli immigrati con maggiore istruzione e reddito più alto. Inoltre non emerge un divario di genere: uomini e donne mostrano la stessa vocazione a investire nei propri Paesi.
Un ulteriore contributo è arrivato dalla ricerca sul campo svolta tra i comuni di Felino e Calestano e lo Sri Lanka. «Attraverso alcune interviste ai migranti dello Sri Lanka che lavorano nel Parmense - è stato detto - si è mostrato che le rimesse non soddisfano solo bisogni immediati, ma anche investimenti imprenditoriali nel paese asiatico. Si tratta di leggere il fenomeno del “transnazionalismo”: i migranti combinano vita professionale (da dipendenti) in Italia con attività imprenditoriali in Sri Lanka, con il supporto della tecnologia a distanza».
Gli studiosi del gruppo Migrem hanno investigato anche le rimesse cognitive (il trasferimento di conoscenze e competenze acquisite all'estero da parte dei migranti) e le rimesse collettive, vale a dire le iniziative messe in campo dalle associazioni degli immigrati in Italia. Le analisi mostrano che queste associazioni sono attori «chiave» nello sviluppo, grazie alla loro capacità di mobilitare risorse materiali ed emotive. Simone Baglioni, professore dell'Università di Parma, ha sottolineato che il progetto Migrem, attraverso un approccio multidisciplinare, «ci ha mostrato che le rimesse non sono solo strumenti economici, ma anche veicoli di solidarietà, di valorizzazione dell’appartenenza culturale e di sviluppo sostenibile».
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