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Centrodestra: accordo tra «separati in casa»

Centrodestra:  accordo tra «separati  in casa»

di Luca Tentoni

11 Luglio 2020, 10:57

Il centrodestra che si presenta unito alle elezioni regionali del prossimo settembre è, in realtà, una coalizione che sopravvive più per mancanza di alternative che per coesione interna. Forza Italia, ormai, veleggia verso le posizioni europeiste della maggioranza giallorosa, soprattutto quelle del Pd e di Italia viva (persino l'eterno nemico di Berlusconi, Prodi, ha aperto a un possibile nuovo governo “Ursula” con gli azzurri); Fratelli d'Italia è a tutti gli effetti l'erede del Msi: un partito che non vuole entrare in governi di solidarietà nazionale (e che, così facendo, impedisce alla Lega di ipotizzare una nuova maggioranza parlamentare, a meno che Salvini non voglia farsi sottrarre altri voti dalla Meloni, com'è accaduto copiosamente nell'ultimo anno); il Carroccio, infine, sembra non avere un “piano B” oltre alle elezioni anticipate (che verosimilmente non avrà: le spallate al governo promesse o tentate si sono fin qui rivelate o inutili o inconsistenti). Il 20 e il 21 settembre, inoltre, se il centrodestra andrà bene, vincendo in quattro regioni, sarà FdI ad aggiudicarsene due, mentre il Veneto è (da tradizione leghista di “rito venetista”) di Zaia, non di Salvini (la lista del governatore è accreditata di più consensi persino rispetto a quella leghista) e la Liguria è stata “appaltata” da Salvini a Toti (il quale ha un partitino non più forzista e non ancora leghista); in quanto a Forza Italia, a Berlusconi non interessa tanto vincere (in Campania è poco probabile) quanto invece dimostrare che a livello nazionale e soprattutto al Sud i voti azzurri valgono tanto oro quanto pesano. Senza il Cavaliere, non ci sarà una maggioranza parlamentare nella prossima legislatura, né con l'attuale sistema, né - tantomeno - con la proporzionale pura. Così come la Meloni sa che il centrodestra e Salvini, senza di lei, non vanno da nessuna parte (non ha fretta: del resto non è stata al governo negli ultimi nove anni, quindi può attendere; nel frattempo ha intercettato metà di quel 17% dei voti finiti dal M5s alla Lega alle europee del 2019). Non solo: nel gioco dei quattro cantoni fra i leader del destra-centro, a Berlusconi fa più gioco che sia la Meloni a conquistare la maggioranza relativa dei consensi fra i tre partiti, dimostrando a Salvini che ciò che si acquista oggi (la leadership dopo il voto del 2018) si può perdere domani (e forse con i postmissini ci si accorda meglio che con i leghisti, soprattutto al Sud). 
Ma, tornando alla domanda iniziale, c'è seriamente da domandarsi se l'alleanza necessitata fra i tre partiti dell'ex centrodestra esista realmente o non sia un accordo fra «separati in casa». Lo si vede quando si tratta di incontrare il presidente del Consiglio: Conte cerca di approfittare delle divisioni nell'opposizione invitando separatamente i leader (e sapendo che con Berlusconi potrebbe individuare consonanze impossibili con gli altri due, che invece in un incontro collegiale gli azzurri dovrebbero sfumare molto per tenere insieme il destra-centro), poi li invita tutti insieme, come voleva Salvini, ma è il leader leghista che rifiuta e rinvia, bloccando Berlusconi e Meloni. Sulla legge elettorale, FdI è per il sistema attuale, perché può dare al partito neomissino una quota di seggi ben superiore persino alle lusinghiere percentuali di voti «virtuali» (dei sondaggi), mentre Salvini è sulla stessa linea ma solo perché sa che col proporzionale si correrebbe ciascuno per proprio conto (così la Meloni lo attaccherebbe da destra e Berlusconi potrebbe finalmente sganciare i sovranisti in nome del moderatismo europeista). Fra i tre soci di coalizione, insomma, ce ne sono due in una posizione «win-win»: Berlusconi, che con i suoi seggi può essere determinante sia per questo governo (vedi Mes sanitario e scostamento di bilancio), sia per un eventuale governo di destra-centro nella prossima legislatura; la Meloni, che come dicevamo può guadagnare voti sia se Salvini entra in un governissimo guidato da Draghi (con FdI all'opposizione dura e pura), sia se Salvini resta nel limbo attuale e s'incarta sperando in nuove elezioni, sia se alla fine si va alla nuova legislatura e i voti di FdI servono non solo per governare ma anche (chissà, in caso di sorpasso) per consegnare alla leader romana quel posto di primazia a Palazzo Chigi che il «capitano» sogna invano dai tempi del Papeete. 

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